Il generale libico Khalifa Haftar

Guerra agli scafisti

Il caso Haftar dimostra che in Libia non esiste la soluzione diplomatica

Daniele Raineri
Il patto tra le fazioni è lontano lontano. Cattivi segnali a Tobruk. Perché Italia e Spagna spingono per un intervento

Roma. La Spagna chiede una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – di cui è membro non permanente – per autorizzare un’operazione internazionale limitata contro i trafficanti di persone che arrivano via mare dalla costa della Libia. Tra le opzioni considerate, con l’appoggio dell’Italia, c’è una una replica della missione Atalanta contro la pirateria somala e l’affondamento dei barconi vuoti – sempre gli stessi – usati dagli scafisti. “Non possiamo aspettare a tempo indefinito la formazione di un governo di unità nazionale in Libia”, dicono fonti diplomatiche al quotidiano spagnolo País. Se il patto tra le fazioni libiche non arriverà entro una scadenza da fissare presto, scrive il giornale, allora “il mandato Onu sarà considerato sufficiente per intervenire”. Oggi a Bruxelles i paesi dell’Unione europea discutono nei dettagli le possibili opzioni anche militari per fermare il traffico.

 

Come la Spagna, anche l’Italia aspetta formalmente che il governo di Tobruk e quello di Tripoli facciano la pace in Libia, al termine di negoziati bizantini sponsorizzati dalle Nazioni Unite. Sul breve termine però la soluzione per via diplomatica della crisi libica appare sempre meno possibile. Il comandante delle truppe di Tobruk, il generale Khalifa Haftar, pochi giorni fa detto in tv che lui personalmente “scommette sulla soluzione militare e che si oppone a qualsiasi idea di cessate il fuoco con i gruppi armati”, come definisce le milizie che combattono per il governo di Tripoli. Haftar manovra i soldati per preparare l’attacco alla capitale Tripoli e trascura deliberatamente la questione dello Stato islamico – che cita soltanto negli appelli all’occidente sui media, ma non combatte sul terreno.

 

Il portavoce di Haftar, Mohammed el Hejazi, quando rivendica i bombardamenti sull’aeroporto di Mitiga vicino Tripoli  spiega che: “Fanno parte della nostra campagna contro il terrorismo”. Tuttavia lo Stato islamico prolifera in alcune sacche lontane centinaia di chilometri a est, tra Sirte e Derna. Lanciare allarmi per i terroristi a Sirte e fare la guerra a Tripoli: Haftar prende gli interlocutori europei per scemi.

 

In un reportage firmato da David Kirkpatrick sul New York Times c’è una citazione significativa che arriva diretta dalla bocca di uno dei luogotenenti di Haftar e che può suscitare la perplessità di più di un governo occidentale: il capo della aviazione del generale – quindi del pezzo più prestigioso delle forze militari di Tobruk, accusa le milizie di Misurata di tramare “per portare gli ebrei in Libia”. Per ora, l’esercito di Tobruk e quello di Tripoli intendono prevalere sul nemico con la forza e considerano ancora i negoziati all’estero come una falsa soluzione. Come sia possibile arrivare a un compromesso definitivo e funzionante, con questo tipo di dichiarazioni e manovre militari in corso, resta un mistero.

 

[**Video_box_2**]Negli stessi giorni il governo civile di Tobruk ha cominciato a vendere greggio all’estero attraverso un nuovo canale di mercato che è stato disegnato per bypassare l’obbligo di dividere gli incassi con il governo di Tripoli, come succede ora (i profitti del greggio normalmente arrivano a una delle poche istituzioni libiche rimaste unitarie, la Banca centrale, e lì sono spartiti tra Tobruk e Tripoli). Si tratta di un’operazione finanziaria che per ora non attira compratori, che non vogliono ancora firmare contratti a dispetto degli sconti sul prezzo del greggio per paura che il mercato sia dichiarato illegale – e che agli occhi del governo di Tripoli può apparire anche più aggressiva di quelle militari di Haftar. Di nuovo: se Tobruk prova a vendere il greggio che controlla saltando la spartizione con Tripoli, i negoziati di pace non funzioneranno.

 

Questi non sono che esempi tratti dalle cronache degli ultimi dieci giorni in Libia e altrettanto compromettenti se ne potrebbero fare che riguardano l’altra parte – quella di Tripoli. Il governo di Tobruk rivendica la sua legittimità internazionale e dovrebbe però sentirsi più vincolato alle aspettative di una  pace rapida che arrivano dalle Nazioni Unite.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)