Terroristi dello Stato islamico (foto LaPresse)

Il sentiero delle armi dei convertiti europei

Giulio Meotti
Roma. La guerra del Vietnam vide Jane Fonda ad Hanoi calarsi in testa l’elmetto e farsi fotografare dietro la contraerea. “Hanoi Jane” non sapeva sparare contro i B-52 americani, mentre i giovani francesi oggi sanno anche tagliare teste.

Roma. La guerra del Vietnam vide Jane Fonda ad Hanoi calarsi in testa l’elmetto e farsi fotografare dietro la contraerea. “Hanoi Jane” non sapeva sparare contro i B-52 americani, mentre i giovani francesi oggi sanno anche tagliare teste. Il premier francese Manuel Valls ha rivelato che sette francesi si sono fatti esplodere in Iraq e Siria. Sei di questi erano convertiti all’islam. Per loro non c’era modello integrativo in discussione. Sono i figli dell’occidente in guerra con l’occidente, il figlio della cultura della ragione, “il nemico ateo e bugiardo”, come lo definiscono negli audio video dello Stato islamico. Questa guerra santa contro il “nuovo paganesimo” non è condotta da uomini formatisi nelle madrasse, ma in università fondate sul “pensiero pagano” di cui intendono servirsi per castigarlo. Vogliono sconfiggere l’Europa così mostruosamente seducente contando sulla saggezza di un solo Libro. Nel villaggio di Bosc-Roger-en-Roumois, i vicini di casa di Maxime Hauchard lo ricordano non come un decapitatore, ma come un “bravo ragazzo, coraggioso, utile”. Lo zio diceva che “non era capace di far male a una mosca”. Un giovane cresciuto in una famiglia cattolica. Come Michael Dos Santos, che faceva persino il catechista.

 

Come spiegare una tale follia? Lo studioso Olivier Roy dice che “nel 1970 questi giovani si sarebbero rivolti al maoismo. Oggi soltanto l’islam è visto come una possibile utopia. Non sono manipolati, sanno quello che stanno facendo”. Come il francese Pierre Robert, “l’emiro dagli occhi blu”, che viveva nella Loira con la moglie e un figlio, in una grande casa, bel giardino e bella vista. Brave persone. Come Thomas Barnouin, figlio di insegnanti, e David Courtailler, che produceva formaggi nell’Alta Savoia, ma un giorno vide “le luci di una moschea che mi accecarono”. Come Jean-Marc Granvisir, che prima di dedicarsi al jihad aveva lavorato per i servizi sociali: si prendeva cura della gioventù sbandata delle banlieue. Tutti giovani incoraggiati dai genitori a trovare il proprio percorso in una società che avrebbero giudicato “empia”. Una società che aveva loro insegnato che non esistono torto e ragione, ma solo il giudizio (odioso) e la tolleranza (ammirevole). Hassen Chalghoumi, l’imam di Drancy accusato di “apostasia” dai fanatici, sostiene che la loro conversione è una reazione al secolarismo. Tutti figli della buona borghesia europea che nel versetto 110 della III Sura del Corano sentono il richiamo di una forza primordiale e incontrollabile: “Voi invero praticate il bene, impedite il male”. I dubbi e le scelte della società francese hanno trovato una soluzione nella certezza omicida dell’islamismo. Sono i figli della nostra opulenza culturale.

 

Il New York Magazine dedica un’inchiesta ai “jihadisti di Sua Maestà”. Fra i motivi addotti per la conversione, molti citano “la mancanza di moralità” e “il permissivismo sessuale” inglesi. Giovani europei feriti dalla modernità e felici di barattare la loro vita con l’ebbrezza di una giusta causa e di una rivoluzione feroce e sacralizzata dall’ortodossia, un grande sentiero delle armi. 

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.