Le forze speciali turche circondano l'ufficio del procuratore sequestrato e ucciso mercoledì (foto LaPresse)

Lo spettro di Gezi Park bracca Erdogan e la sua Turchia nel caos

Redazione
Dopo la protesta è cambiato tutto, dentro e fuori dal paese. Tre attacchi terroristici in due giorni a Istanbul

Roma. In un episodio famoso, raccontato da Suzy Hansen sul New York Times magazine, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, al tempo ancora premier, organizza un incontro con i rappresentanti degli studenti e dei manifestanti di Gezi park, dove nel giugno del 2013 era iniziata una protesta contro la costruzione di un centro commerciale che si è trasformata in una piazza permanente contro Erdogan. E’ la fine del 2013, a Gezi è già tutto finito da mesi, e finito male tanto per i manifestanti quanto per Erdogan, i primi malmenati e sgombrati con i lacrimogeni e i manganelli, poi arrestati e perseguitati, il secondo che si vede chiamare “despota” e “sultano” da quegli stessi media e politici occidentali che fino a poche settimane prima lodavano il modello turco di convivenza tra islam, democrazia e crescita economica. Durante l’incontro, i manifestanti per cinque ore raccontano a Erdogan la loro delusione, dicono che a Gezi park sono stati picchiati, minacciati, che il premier li ha definiti degli estremisti pericolosi in tv. Molti di quelli che parlano a Erdogan fanno parte della working class di Istanbul che ha sostenuto il premier per anni, i loro genitori erano ai raduni politici dell’Akp, hanno vissuto gli anni del regime secolarista e considerano Erdogan come un eroe, ma oggi si sentono traditi, Erdogan non ha mantenuto le sue promesse. Alla fine di quelle cinque ore, in cui Erdogan quasi non ha mostrato emozioni, il premier turco alza lo sguardo su quelli che un tempo lo avevano sostenuto e che oggi si sono trasformati nei suoi più grandi critici, e dice: “Com’è possibile che anche voi, come tutti gli altri, non riusciate a capire?”.

 

Quei mesi di primavera a Gezi park hanno cambiato tutto in Turchia, hanno cambiato Erdogan e il modo in cui gestisce il potere, hanno cambiato il suo elettorato e l’intero paese. In questi giorni il fantasma di Gezi è tornato, sotto forma di due uomini armati appartenenti a un gruppuscolo terroristico marxista-leninista, il Dhkp-c (Partito-Fronte per la liberazione rivoluzionaria del popolo) che martedì sono entrati nel palazzo di giustizia di Istanbul, nel distretto di Çaglayan, e hanno preso in ostaggio nel suo ufficio un procuratore, Mehmet Selim Kiraz, che indagava sulla morte del quindicenne Berkin Elvan durante gli scontri a Gezi. I rapitori non hanno chiesto un riscatto, ma una confessione pubblica e un “tribunale popolare” per il poliziotto che ha ucciso Elvan, colpito alla testa da un lacrimogeno e morto dopo un lungo coma. Dopo un negoziato durato sei ore, mentre il governo vietava la copertura giornalistica dell’evento, le Forze speciali sono entrate nel palazzo di giustizia, hanno ucciso i due miliziani e nella sparatoria è stato ferito il procuratore, che è morto poco dopo in ospedale. Oggi la polizia ha fatto 32 arresti tra i membri del Dhkp-c.

 

Altri eventi in questi giorni hanno contribuito ad aumentare il caos. Martedì, in contemporanea con l’attacco, il più grande blackout elettrico da decenni ha colpito tutta la Turchia, le metropolitane si sono fermate a Istanbul e Ankara, le città sono rimaste senza luce per ore, e le autorità non hanno escluso la possibilità di un atto terroristico. Mercoledì un gruppo di uomini forse armati è entrato in una sede dell’Akp, il partito di Erdogan, ha occupato una stanza e ha esposto una bandiera turca fuori dalla finestra prima dell’arresto da parte delle Forze speciali, e nel pomeriggio un altro commando ha attaccato una stazione di polizia nel quartiere di Vatan, c’è stata una sparatoria e almeno un attentatore, una ragazza che secondo le autorità portava uan bomba, è stato ucciso. In contemporanea, una manifestazione di studenti all’Università di Istanbul è stata bloccata da un dispiegamento eccezionale di forze antisommossa, e il premier Davutoglu ha annunciato una stretta durissima contro le “manifestazioni non autorizzate”. Gli studenti volevano manifestare per Berkin Elvan, che non era un attivista di Gezi park, ma un ragazzino mandato fuori casa a fare compere e finito nel caos per sbaglio. Nonostante questo, negli ultimi due anni Elvan è diventato un simbolo della rivolta anti Erdogan, è stato raffigurato nei manifesti e nelle bandiere dalla sinistra estrema che oggi sembra essersi armata, e il fatto che l’atto terroristico al palazzo di giustizia sia stato compiuto in suo nome mostra le infinite conseguenze non desiderate dei fatti di Gezi, e come questi abbiano stravolto la Turchia in più modi.

 

Dopo Gezi il premier Erdogan, quello che chiedeva “perché non capite”, ha deciso che non valeva la pena farsi capire dagli ingrati che pensano che la democrazia sia solo contestazione, e l’“erdoganismo”, come ideologia prima ancora che come stile di governo, è nato in quei mesi – che erano anche mesi elettorali, e questo ha fatto inasprire i toni del governo e ridurre la tolleranza del premier per le critiche e i dissensi interni. Questo nuovo stile di governo ha provocato la rottura dell’alleanza storica tra l’Akp di Erdogan e il gruppo dell’imam islamico Fethullah Gülen, e durante lo scontro Erdogan è arrivato a vietare Twitter e YouTube nel paese, e infine a disconoscere i processi alla vecchia classe dirigente secolarista che era stata messa da parte grazie al braccio giudiziario manovrato dall’ex alleato Gülen (uno dei processi più importanti è stato archiviato martedì). L’anno scorso, infine, Erdogan si è fatto eleggere presidente della Repubblica turca, e ha messo come premier il suo fidato ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu.

 

Mercoledì ci sono stati i funerali di stato del procuratore Kiraz, ma le notizie sono state monopolizzate dai nuovi attacchi, che sembrano riportare il paese più indietro dei drammi di Gezi park, dentro l’èra del terrorismo di estrema sinistra. Il fantasma di Gezi park è tornato, forse non da solo, ma oggi la Turchia è più fragile di allora.

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