Il gioco delle coppie nella cooperazione spaziale America-Russia

Giulia Pompili
Da oggi Scott Kelly (Nasa) e Mikhail Kornienko (Roscosmos) lavoreranno insieme per un anno. Ma con obiettivi molto diversi.

Roma. La corsa allo spazio è più viva che mai. Propaganda, geopolitica, difesa, strategia e mistica degli astri. Ieri due astronauti sono partiti per la Stazione spaziale internazionale (Iss), e lì rimarranno per un anno intero. La data scelta per il lancio non è casuale. Mentre l’America celebrava il suo eroe, il capitano Scott Kelly, ingegnere cinquantunenne, veterano della Nasa sin dai tempi del Discovery, la Russia celebrava il suo, di eroe: Yuri Gagarin, morto nella giornata di ieri di quarantasette anni fa in un epico incidente aereo. Gagarin è stato il primo uomo ad andare nello spazio, nel 1961, e ancora oggi è un modello per tutti i cosmonauti (attenzione, perché quelli russi non si chiamano astronauti). Le parole sono importanti, e le date sono importanti. E’ tutta una simbologia quella che muove la corsa allo spazio. E ieri sono partiti in due per la prima missione annuale della storia della Iss: Scott Kelly e Mikhail Kornienko, un cosmonauta russo di 54 anni, ingegnere. 342 giorni in orbita. A terra resterà, Mark Kelly, il fratello gemello di Scott, per un esperimento che la Nasa aspettava da tempo, quello del paradosso dei gemelli (la conseguenza più famosa della teoria della relatività di Einstein). I due fratelli verranno sottoposti, durante l’anno di viaggio di Scott, agli stessi esperimenti per testarne le differenze. Mark è anche lui un astronauta, adesso in pensione (ed è il marito di Gabrielle Giffords, la deputata americana ferita in un attentato nel 2011). Simboli, e superstizioni. Ha raccontato Scott Kelly a collectSPACE che le toppe blu che indosserà sulla sua uniforme facevano parte dell’attrezzatura che la Nasa avrebbe dovuto mandare sulla Iss il 29 ottobre scorso, quando il razzo commerciale Antares dell’Orbital Science, con 2,2 tonnellate di materiale, è esploso in volo. Mentre gli investigatori della Nasa cercavano fra i detriti, hanno trovato le due toppe e le hanno riconsegnate a Kelly, che le porterà con sé: “Quante probabilità ci sono che subiscano due volte un’esplosione?”, ha detto Kelly.

 

La Stazione spaziale internazionale è sempre rappresentata come uno dei pochi luoghi di reale cooperazione tra stati, soprattutto tra America e Russia. Dopo la crisi in Crimea e le sanzioni americane a Mosca, l’asilo utopico dell’Iss rappresenta una specie di accordo tra separati in casa (Guerra fredda style). L’America – attraverso la Nasa – sfrutta tutto quello che può per raggiungere risultati scientifici rivoluzionari (in questo la cooperazione è necessaria perché nessuno stato potrebbe permettersi da solo gli investimenti per mantenere in vita una cittadella orbitante). Il lavoro sporco degli studi per la Difesa è ormai delegato a società private. Al Cremlino, invece, l’agenzia Roscosmos e i suoi dipendenti hanno tutt’altro fine: il prestigio della madre Russia. E’ per questo che da mesi Vladimir Putin sta minacciando di allontanare i suoi cosmonauti dalla Stazione internazionale e farne una propria, alla scadenza del progetto di cooperazione che si conclude nel 2024. E per questo il presidente russo non tollererà ulteriori rallentamenti nei lavori per la costruzione del mega cosmodromo in Siberia, il cui primo lancio dovrebbe avvenire a fine anno. Il nuovo cosmodromo dovrebbe finalmente emancipare la Russia dal Kazakistan, che con la caduta dell’Unione sovietica ereditò sul suo territorio il cosmodromo di Baikonur: l’unico luogo dal quale attualmente possono essere lanciati esseri umani nello spazio. La Russia paga 115 milioni di dollari l’anno per avere il controllo dell’intera area, e la Nasa, per mandare i suoi astronauti sulla russa Soyuz, è costretta a pagare una sorta di “biglietto” alla Russia. L’unica cosa certa, per adesso, è che da oggi e per un anno intero un russo e un americano lavoreranno fianco a fianco, ma a oltre quattrocento chilometri da qui. (Per seguirli su Twitter:  #YearInSpace).

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.