Boris Johnson in visita alla fabbrica Nissan a Sunderland (LaPresse) 

Editoriali

Ripartire con il modello Sunderland

Redazione

L’asse Nissan-BoJo mostra come si passa dai sussidi agli investimenti 

Nissan, la casa giapponese prima produttrice al mondo di auto elettriche, investirà un miliardo di sterline (1,2 in euro) a Sunderland, nel nord-est dell’Inghilterra, per una gigafabbrica di batterie destinate a veicoli ibridi ed elettrici da esportare per la massima parte nell’Unione europea. Le assunzioni previste sono 6.700 in un’area dove il referendum sulla Brexit aveva spopolato, ma l’azienda si è mossa solo dopo gli accordi sulla libertà di commercio tra Regno Unito e Ue. Nissan è stata la prima big giapponese a puntare sulla globalizzazione, negoziando nel 1984 un accordo con il governo di Margaret Thatcher per insediarsi nel Regno Unito e da lì esportare nel resto del mondo, dalla Micra fino alla odierna Qashqai; operazione che ha salvato l’industria dell’auto britannica (oggi 14esima al mondo e quarta in Europa nonostante tutti i marchi siano in mani straniere) ma che venne avversata dal resto d’Europa, Italia compresa, dove una partnership con Alfa Romeo ebbe vita breve.

 

Da fine anni 90 l’azienda è controllata dalla Renault con un intreccio azionario vissuto male sia in Giappone sia in Francia, il che ha anche impedito il mega accordo Renault-Fca prima di quello andato in porto Fca-Psa. L’investimento inglese è in una logica globalizzatrice contrapposta a quella del nazionalismo industriale supportato da sussidi pubblici. Nelle stesse ore dell’annuncio Boris Johnson ha comunicato che gli aiuti post Covid saranno d’ora in poi flessibili e subordinati al ritorno imprenditoriale “per tornare a camminare sulle nostre gambe”. Il nuovo impianto di Sunderland, nel quale il governo avrebbe messo 100 milioni di sterline, segue evidentemente questa linea anche perché ne è parte la cinese Envision, fornitrice di batterie per Nissan e in trattative con Renault. Dimostrazione che è ora di passare dai sussidi agli investimenti, che la ripresa non si fa con l’autarchia economica e che riguardo alla Cina occorrono cautela ma anche pragmatismo. Per dirla con Mario Draghi, “è un’autocrazia, con la quale bisogna collaborare”.

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