Forze dell'ordine cinesi davanti alla sede del giornale d'opposizione Apple Daily, ad Hong Kong (LaPresse)

Editoriali

Pechino contro i giornali di Hong Kong

Redazione

L’ennesimo atto autoritario contro i media invisi al regime. C’è da aver paura
 

Per l’ennesima volta a Hong Kong vengono presi di mira i giornali e i giornalisti. Ieri cinquecento poliziotti hanno fatto irruzione nella redazione dell’Apple Daily, uno dei pochissimi giornali pro autonomia ancora in circolazione il cui editore, Jimmy Lai, si trova già agli arresti. Le immagini delle Forze dell’ordine sono impressionanti: i poliziotti fanno alzare i redattori e si mettono ai loro computer, frugando e rovistando. La perquisizione è andata avanti nonostante molti dei giornalisti stessero trasmettendo l’evento live sui social network. Alla fine sono state arrestate cinque persone, tra giornalisti e amministrativi. Le Forze dell’ordine hanno fatto sapere di aver trovato almeno 30 articoli in cui si dimostrerebbe la violazione dell’ultima controversa legge di Pechino sulle sanzioni straniere: l’Apple Daily, secondo le accuse, avrebbe aiutato non meglio specificati “paesi stranieri” nella grande cospirazione anticinese, che si è poi tradotta nelle sanzioni internazionali contro Pechino.

 

L’arbitrarietà di certe accuse è abbastanza chiara. L’Apple Daily è, insieme all’Hong Kong Free Press, uno dei due giornali d’opposizione che pubblicano anche in lingua inglese: un mezzo di comunicazione e d’informazione intollerabile per Pechino, che soprattutto sui media che si rivolgono a un pubblico internazionale vuole avere sempre più controllo. E infatti Holden Chow, membro del Parlamento locale dell’ex colonia inglese, ha scritto su Twitter che “non si può abusare della libertà di stampa mettendo in pericolo la sicurezza nazionale”: funziona così in tutti i paesi autoritari, dove l’abuso è soprattutto quando non si pubblica ciò che impone la propaganda. È l’ennesima dimostrazione del fatto che l’autonomia di Hong Kong è ormai stata cancellata in modo autoritario da Pechino. Forse un elemento di riflessione in più perfino per Massimo D’Alema, da ex direttore dell’Unità.

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