Invincibile Elsa
La rivincita di Elsa Fornero. Cento miliardi risparmiati in dodici anni
Con le pensioni che pesano sul prossimo bilancio pubblico, la ex ministra si prende la sua rivincita. Ma nonostante la sua riforma, le continue deroghe approvate negli anni successivi hanno aumentato di 40 miliardi il costo delle pensioni
Quando Alberto Barbera, direttore della Mostra di Venezia, consegna a Sigourney Weaver il Leone d’oro alla carriera, spiega che “ha imposto un’immagine di donna sicura e determinata, dinamica e tenace, non senza lasciar trapelare, con sfumature sempre diverse, una sensibilità femminile di intenso magnetismo”. A chi in Italia potrebbero calzare queste parole? Non mancano ovviamente figure femminili con le stesse virtù, ma a me è venuta in mente Elsa Fornero. Bizzarro? Forse, eppure se mai si facesse un film su di lei, proprio Sigourney Weaver sarebbe la protagonista perfetta.
L’interprete di “Alien” non ha certo lo stesso look da insegnante piemontese molto borghese e molto cortese, tuttavia ricordate le lacrime in pubblico dodici anni fa mentre la titolare del ministero del Lavoro annunciava i sacrifici che la sua riforma delle pensioni avrebbe imposto (s’interruppe proprio prima di pronunciare quella dolorosa parola, “sacrifici”), e ascoltate adesso le sue intemerate contro Matteo Salvini, quello che voleva “seppellire la Fornero” e ora si trova costretto a rispettarla. “Se non cancelliamo la Fornero siete liberi di spernacchiarmi”, rodomonteggiava il capo della Lega nell’agosto 2022 prima delle elezioni. E a novembre di quell’anno, appena tornato al governo: “E’ una promessa, costi quel che costi”. In tempi più recenti: “Facciamo passi avanti verso lo smantellamento di quella schifezza che è la legge Fornero”. Elsa contrattacca dagli schermi di La7: “Parla da bullo, è quasi patetico”. Sicura, determinata, dinamica, tenace: la pecorella smarrita nel governo Monti si batte come una leonessa. L’alieno è Salvini, sbarcato dallo spazio profondo non si rende conto di come stanno le cose qui sulla terra.
Elsa come Sigourney Weaver? L’alieno è Salvini, che non si rende conto di come funziona sulla terra. “Parla da bullo, è quasi patetico”
Elsa Fornero potrebbe essere definita una secchiona leggendo la sua biografia ufficiale: studentessa modello, nel 1965 La Stampa si occupa di lei. Nata a San Carlo Canavese il 7 maggio 1948, frequenta le scuole tecniche, si prepara per tutta l’estate ed entra all’Istituto Luigi Einaudi di Torino dove si distingue subito: otto 9 e tre 8. La Stampa pubblica una foto della giovane Elsa che legge sorridente i suoi risultati. “Non è la classica figura della sgobbona – scrive il quotidiano – si limita a studiare tre ore al giorno e mai di sera perché è costretta a coricarsi molto presto in vista di una sveglia che suona sempre all’alba. Giunge a Torino col pullman che parte alle ore 6,30: un’ora per giungere in corso Giulio Cesare, un altro spostamento per prendere il tram e l’arrivo a scuola. La Fornero ha un sorriso molto dolce e occhi verdi scuri che riflettono la sua modestia: ‘Non credo di meritare tutte queste attenzioni – dice – e il mazzo di fiori del prof. Allemano, degli altri insegnanti, di compagni e compagne è stato proprio una sorpresa’”.
Elsa è cresciuta in campagna, il padre operaio aveva un pezzetto di terra che lavorava mentre la madre casalinga curava l’orto e cuciva i vestiti per la famiglia. Il suo orizzonte spaziava verso il brullo paesaggio di Le Vaude, l’altipiano oggi riserva naturale a una quindicina di chilometri da Torino. Il padre la portava in Vespa a scampagnare nei giorni di festa ed è in Vespa che fa il suo primo ingresso nella città che non avrebbe più lasciato. All’università voleva frequentare Lettere, ma con un diploma di ragioneria allora non era possibile. Quindi le tocca Economia dove si specializza in mercato del lavoro. Con lei all’Istituto Einaudi studiava anche Cesare Damiano che sarebbe diventato sindacalista della Fiom, dirigente comunista, deputato del Pd, ministro del Lavoro nel secondo governo Prodi (2006-2008). Elsa non ha mai militato in nessun partito, eppure ha incrociato la politica in varie fasi della sua vita. A 23 anni, appena laureata ottiene una borsa di studio grazie a Onorato Castellino che nel 1976 fa scalpore con un acuto libro intitolato “Nel labirinto delle pensioni”. E la dottoressa poi professoressa Fornero sarebbe diventata una specialista dei sistemi previdenziali. All’università conosce un giovane assistente, Mario Deaglio, un colpo di fulmine. Dopo un anno, nel 1973, si sposano: lei ha 25 anni, lui 30. Mettono al mondo due figli, Silvia, docente di Genetica all’università torinese, e Andrea, regista che con la sua Mu film produce documentari. Mario ha un fratello di quattro anni più giovane, Enrico, laureato in Medicina con la vocazione del giornalista e dell’agit prop, tanto che diventa direttore di Lotta continua. Mario invece è un riformista che vuole restare all’università e scrivere articoli per ben altri giornali: Panorama, La Stampa, Il Sole 24 Ore del quale sarà direttore. “Liberista? Liberale” è il titolo di uno suo saggio.
Nel 1993 Elsa cede alle sirene della politica e viene eletta consigliera comunale indipendente con il sindaco Valentino Castellani. “Me lo propose Gianni Vattimo – ha raccontato – Era il periodo di Mani pulite. Fu una bella prova, abbiamo sfidato quella saggezza convenzionale che vedeva Torino come la città industriale in declino”. Ben più travolgente è stata l’esperienza da ministro. In un’intervista del 2018 a Repubblica ricorda la sua agenda fitta dalle 8 alle 22 e si chiede come abbia fatto a non restarne schiacciata. L’impatto più difficile è con i media e la comunicazione: “Ho sempre cercato di essere me stessa. Ho parlato in modo trasparente ma trovavo spesso travisate le mie affermazioni. La politica è l’arte di dire e non dire. Quella debolezza del pianto iniziale è stata fatale. Le mie giornate romane erano un tormento”. A un certo punto l’agenda ricolma s’è svuotata e la professoressa Fornero ha dovuto riorganizzare la propria vita. “La pagina bianca l’ho riempita io, tornando al mio lavoro, a insegnare apprezzando ciò che avevo lasciato”. Non ha chiesto posti né ricompense, oggi può prendersi una rivincita se non altro morale.
La riforma Fornero non è il toccasana, ma in dodici anni ha fatto risparmiare quasi cento miliardi di euro al bilancio dello stato, anche se le continue deroghe approvate negli anni successivi hanno aumentato di 40 miliardi il costo delle pensioni. La bomba sociale è stata rinviata spostando avanti nel tempo una resa dei conti che comunque arriverà a mano a mano che i pensionati saranno più dei lavoratori attivi (ormai manca davvero poco). Tutto questo ha provocato problemi e disagi anche seri (si pensi alle fiamme degli esodati che poi si sono spente in poco tempo), eppure oggi gli italiani continuano ad andare in pensione prima di tutti gli altri europei e l’Italia continua a spendere in rapporto al prodotto lordo una quota superiore (con l’eccezione della Grecia). Dalla somma delle pensioni anticipate e di vecchiaia erogate, risulta un’età media effettiva di 64,6 anni. Non solo, se si fanno i calcoli in termini di parità di potere d’acquisto, una moneta artificiale che serve per rendere omogeneo il confronto tra situazioni eterogenee, l’Italia con una quota di 18.400 supera nell’ordine la Spagna, la Francia e la Germania. In media gli italiani vanno in pensione dopo 33 anni di lavoro, i francesi dopo 37, i tedeschi ormai arrivano a quota 40 anni e gli svedesi, record assoluto, con 43 anni di contributi.
D’accordo, sono cifre da medie di Trilussa, mentre la vita riflessa dallo specchio mediatico ci mostra pensioni minime troppo minime, contributi nello stesso tempo pesanti e insufficienti. Diverse categorie danno meno di quel che incassano e questo contribuisce in modo determinante al deficit dell’Inps. Il fondo lavoratori dipendenti è in attivo, del resto le buste paga vengono tagliate ogni mese. Bene anche i commercianti e i lavoratori dello spettacolo. In forte deficit i dipendenti pubblici, il fondo ex ferrovieri, la gestione degli artigiani e quella dei lavoratori agricoli. Come stanno le cose?
La svolta doveva arrivare con la riforma Dini del 1995: dal sistema retributivo, quando la pensione è commisurata agli stipendi negli ultimi anni di attività, introdotto nel 1969, al modello contributivo, cioè l’assegno calcolato sui contributi versati, con un passaggio graduale, anche troppo. Il metodo vale per tutti coloro che sono stati assicurati dopo il 31 dicembre 1995 e viene applicato dal 1° gennaio 1996 ai lavoratori che hanno maturato a tale data meno di 18 anni di contributi; per gli altri che hanno almeno 18 anni di anzianità contributiva, scatta dal 1° gennaio 2012, con la legge Fornero. I lavoratori così sono divisi in fasce: i più anziani con un sistema pienamente retributivo, quelli misti e i più giovani con il contributivo puro. In un welfare state che implica un forte patto tra le generazioni non si possono avere regole tanto diverse. Gli interventi successivi hanno complicato la situazione. Tra eccezioni più o meno giustificate (lo sono quelle per i lavori usuranti ad esempio, anche se si è cercato di ampliarne la lista fuor di misura) e aggiustamenti continui, è ormai difficile capire esattamente quando si potrà andare in pensione e con quale trattamento. I militari a 60 anni, con 35 anni di anzianità (quota 95), 60 anni anche per piloti e controllori di volo, 48 anni per gli sportivi, 47 per i ballerini con 20 anni di anzianità. Per i medici invece si può salire fino a 70 anni.
Quest’anno la pensione di vecchiaia resta per legge a 67 anni d’età come deciso dalla riforma Fornero, con 20 anni di contributi minimi maturati. La Lega insiste per quota 41, cioè si lascia il lavoro a qualsiasi età, basta avere 41 anni di contributi. Una misura costosa, vedremo cosa uscirà dalla legge di bilancio. L’Inps paga quasi 23 milioni di pensioni a 17 milioni e 775 mila uomini e donne, quindi in media 1,3 assegni a testa. Circa la metà vanno ai dipendenti privati. Le erogazioni puramente assistenziali arrivano a 4 milioni e 142 mila. L’area con più pensioni non è il sud, ma il nord, il centro viene in coda. L’importo medio per la vecchiaia è 1.469 euro (poco oltre i 1.500 euro nel nord). Nove milioni e mezzo di persone percepiscono importi inferiori a 750 euro. L’Inps gestisce un ventaglio di prestazioni a cavallo tra assistenza e previdenza, come l’Ape sociale (l’anticipo pensionistico), l’assegno di inclusione, i trattamenti per la disoccupazione, la cassa integrazione straordinaria, i trattamenti per la maternità, l’assegno unico universale, gli assegni al nucleo familiare, le pensioni sociali e l’invalidità civile, il Tfr e Tfs ex Inpdap, oltre agli anticipi delle aziende per prestazioni Inps. Tutte le proposte di dividere assistenza e previdenza sono cadute nel vuoto, forse è davvero difficile in uno stato sociale in cui tutto si tiene, forse non conviene perché verrebbero in luce con nomi e cognomi le categorie che pagano troppo (i lavoratori dipendenti) e quelle che pagano troppo poco (una buona parte degli autonomi e gli statali). Quindi meglio annegare le singole responsabilità in un mare di cifre difficili da districare.
La Lega insiste per quota 41: si lascia il lavoro a qualsiasi età, basta avere 41 anni di contributi. Misura costosa, cosa uscirà dalla legge di bilancio?
La contraddizione di fondo riguarda il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati. Carlo Calenda ha detto che i secondi hanno già superato i primi in circa metà delle regioni. Non è ancora così. Secondo gli ultimi dati gli occupati sono 24 milioni, quindi oltre sei milioni più di chi ha lasciato la fabbrica, il negozio, l’ufficio. E non c’è regione dove sia avvenuto il sorpasso. Certo, se la popolazione al lavoro si riduce e continua l’invecchiamento, quello che adesso è un rischio serio diventa realtà. Nonostante i passi avanti compiuti il tasso di occupazione è solo al 62,3 per cento. Facendo i conti con il metodo Eurostat, cioè non a partire dai 15 anni come fa l’Istat, ma dai 20 anni, l’Italia arriva al 66 per cento, la media europea è al 75 per cento.
Il bilancio di previsione dell’Inps per il 2024 mostra un disavanzo di 9 miliardi e 250 milioni di euro. Per riuscire a pagare le pensioni l’Inps si finanzia per il 60-70 per cento attraverso i contributi obbligatori, cioè l’aliquota che viene applicata al reddito imponibile di un lavoratore (sia dipendente sia autonomo), e per per il resto attraverso trasferimenti da parte del Tesoro. Le entrate previste per contributi ammontano a 263 miliardi e 252 milioni di euro, con un incremento del 4,3 per cento rispetto all’anno precedente mentre le entrate provenienti dalla fiscalità generale si attesteranno a ben 169 miliardi e 456 milioni di euro, quasi pari a quelle del 2023. Considerando le principali voci in uscita, spiega il Civ (consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps), il bilancio prevede una spesa per le pensioni previdenziali pari a 310 miliardi e 739 milioni di euro, con un incremento del 5,19 per cento rispetto al 2023, derivante quasi esclusivamente dalle rivalutazioni delle pensioni attuali. Il sostegno alle famiglie raggiunge i 24 miliardi e 342 milioni di euro (+11,1 per cento rispetto all’anno precedente). Spiega Alberto Brambilla: “Le pensioni sociali (circa 820 mila), costano 4,1 miliardi: vanno a persone che hanno versato pochi o zero contributi e quindi zero tasse, ma, raggiunti i fatidici 67 anni, passano alla cassa. L’Inps paga e basta. La maggior parte dei pensionati di vecchiaia non ha versato contributi per raggiungere il minimo (535 euro al mese) e quindi nemmeno i 20 anni di contribuzione effettiva. Anche per questi occorre adeguare l’età di pensionamento al crescere dell’aspettativa di vita, aumentare a 25 anni per tutti il minimo contributivo ed erogare l’assegno solo se l’importo a calcolo della pensione è pari a 1,5 volte l’assegno sociale (703 euro mese). Per la vecchiaia anticipata si dovrebbe infine partire dai 64 anni adeguati all’aspettativa di vita con almeno 38 di contribuzione e massimo 3 anni (dovrebbe valere per tutte le tipologie di pensioni) di contribuzioni figurative”.
La contraddizione di fondo riguarda il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati. I secondi non hanno superato i primi, ma il rischio è serio
Di pensioni al vertice di maggioranza non s’è parlato, ma pesano come un macigno sul prossimo bilancio pubblico, i tecnici di Giorgetti fanno i conti e l’Unione europea ha già acceso la luce gialla. Che cosa ne pensa Elsa Fornero? Tutto sommato non è pessimista. Nessun rischio di un immediato collasso, però bisogna che più gente lavori con salari adeguati. Niente invenzioni estemporanee come pensioni di garanzia (sinistra e sindacati) o integrative pagate con il Tfr (Lega). Fatti, non parole, solo così possiamo trovare il filo per uscire dal labirinto.