Paletti per evitare che la rete unica sia uno schiaffo alla concorrenza

Carlo Stagnaro e Sergio Boccadutri

Il paradosso di un Agcom che spinge una prospettiva regolatoria ingiustificata nel mercato attuale ma che potrebbe divenire una via obbligata nel futuro se il governo, che oggi giustamente la critica, metterà fine all’esperienza italiana di concorrenza tra infrastrutture alternative

L’Autorità garante delle comunicazioni a giugno ha avviato una importante analisi di mercato sui servizi di accesso alla rete fissa in fibra. Con questa analisi l’autorità sembra voler prevenire, mediante nuova regolazione e quindi nuovi obblighi in capo a Tim/Fibercop, distorsioni competitive conseguenti alla posizione dominante del principale operatore infrastrutturale del paese. In particolare, l’Autorità ha avanzato proposte di regolamentazione della fibra ottica fino a casa (Ftth). Quindi l’Agcom sembra voler prevedere nuovi obblighi a prescindere dall’evoluzione del mercato, che in prospettiva vedrà la presenza di operatori concentrati esclusivamente sull’accesso all’ingrosso, cioè che non offrono alcun servizio di connettività al consumatore.

 

Questo mix di vecchia e nuova regolazione in un momento in cui l’Italia sta facendo uno sforzo per superare il proprio gap infrastrutturale, rischia di ridurre l’innovazione. Non solo: rischia di ridurre anche gli investimenti privati e rendere ancora necessario il ricorso alla spesa pubblica, proprio quando lo spazio fiscale a disposizione del governo è ai minimi storici. Così anche il sottosegretario all’innovazione Alessio Butti ha affermato che anche in Italia, come già fatto in altri paesi europei, è giunta l’ora di cambiare l’approccio regolamentare dando un chiaro segnale agli operatori privati che intendono investire nelle infrastrutture.

 

La stessa comunicazione europea sulla Gigabit Society apre a questa possibilità, sottolineando che essa è la conseguenza della concorrenza infrastrutturale che si è creata con l’ingresso di nuovi operatori e la coesistenza di diversi modelli di business. In tali condizioni, diversi studi hanno osservato che una regolamentazione eccessiva della fibra può disincentivare l’innovazione, specialmente in presenza di tecnologie innovative come quella chiamata Vula, che prevede che il venditore di servizi installi un proprio kit presso la centrale del proprietario della fibra. A maggior ragione questo vale in presenza di una infrastruttura nascente che sta, con fatica, connettendo edifici finora raggiunti solo da vecchie tecnologie. Infatti, oltre alla regolazione di mercato, gli operatori hanno dovuto in questi anni fare i conti con una regolazione occulta, quella fatta da permessi e oneri amministrativi comuni a tutti i lavori che insistono su superfici pubbliche. Senza contare i limiti a quello che impropriamente viene chiamato inquinamento elettromagnetico tra i più alti al mondo: tutti gli ultimi governi, compreso quello guidato da Giorgia Meloni, hanno provato ad affrontare la questione ma poi hanno dovuto tirare i remi in barca.

    

Le autorità di regolamentazione dovrebbero stimolare lo sviluppo di mercati competitivi, anche all’ingrosso, riducendo la regolamentazione esistente via via che aumenta la concorrenza. Già oggi Open Fiber è il principale operatore Ftth in Italia, mentre Tim – che pure sta investendo - è in ritardo sia in termini di copertura che di abbonamenti. Di fatto ciò significa che a differenza dell’infrastruttura fibra misto rame (ad esempio Fttc), il vantaggio di Tim è sostanzialmente ridotto. Sarebbero quindi rispettate tutte le garanzie della Raccomandazione della Commissione perché non sia imposte regole sui prezzi sull’accesso alla rete in fibra.

 

Purtroppo, se il progetto di rete unica andrà avanti, allora sarà la fine della concorrenza infrastrutturale e dunque verrà meno il presupposto stesso della deregolamentazione. Il paradosso è che quindi l’Agcom sta spingendo una prospettiva regolatoria che è ingiustificata nel mercato attuale ma potrebbe divenire una via obbligata nel futuro se il governo, che oggi giustamente la critica, metterà fine all’esperienza italiana di concorrenza tra infrastrutture alternative. 
 

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