(foto Ansa)

Narrazioni sbagliate

Le fake news sull'Emilia-Romagna e il consumo di suolo che genera disastri

Mauro Grassi

Lo sfruttamento del territorio è elevato dove si produce ricchezza per tutti: non si condanni l’operato di istituzioni e popolazioni fra le più dinamiche del paese. Ecco perché la retorica del “se la sono cercata” non regge alla prova dei fatti

Quando accade un evento tragico in Italia la nostra tradizionale cultura cattolica, di cui siamo tutti chi più chi meno portatori sani, ci porta istintivamente a reagire in due modi speculari. Il primo è la “pietas”. Ci viene un senso di pietà per le vittime dell’evento, una vicinanza alle popolazioni e ai territori colpiti e infine, cosa importantissima, la volontà di contribuire con denaro o azioni alle fasi di emergenza e alla ricostruzione dei luoghi. Il secondo è invece la “ricerca del colpevole”. Se è accaduta una disgrazia, qualcuno non ha fatto il proprio dovere e, in qualche modo, ha messo in campo, con azioni, disattenzioni e comportamenti attuali o passati, atti non adeguati a mantenere e rafforzare la sicurezza delle popolazioni. Anche nella vicenda dell’alluvione in Emilia-Romagna sono scattate le due reazioni istintive. Non mi dilungo sulla prima. Ma le foto dei ragazzi nella mota, i “nuovi angeli del fango” rimasti nella memoria collettiva dalla alluvione di Firenze del 1966, dicono tutto. Meglio di tante parole.

 

Ma è scattata anche la seconda reazione. E non solo da parte dei cosiddetti politicanti della “parte avversa” al governo regionale dell’Emilia-Romagna. Cioè di coloro, per fortuna pochi, che per puro calcolo politico si sono buttati a decifrare le diverse colpe sulla base del colore politico del governo regionale. Il “finisce sott’acqua il modello Pd”. Ma anche di tanti osservatori che, nel detto e non detto, hanno contribuito a dipingere la regione Emilia-Romagna come terra una volta di buona amministrazione e ora scoperta invece come terra di errori e omissioni. Non mi passa neppure per la testa di difendere la “buona amministrazione” della regione. E tantomeno di entrare nel dibattito politico su chi è più indietro davvero in Italia sugli interventi di difesa del suolo. Ma su due punti mi sento di gettare un po’ di luce per fare chiarezza.

 

Il primo riguarda la capacità di spesa delle regioni in tema di interventi per la difesa del suolo. Dalla esperienza di Italiasicura e anche da letture dei dati di quegli anni e dei pochi disponibili oggi appare evidente che l’Emilia-Romagna fa parte di quel gruppetto di regioni del centro-nord che hanno speso di più e che hanno saputo spendere di più rispetto alle risorse assegnate dallo stato o dal bilancio regionale. Non è stato sufficiente per una adeguata difesa del suolo? Certamente no. Se si pensa che in Italia si spendono in questo settore non più di 350/400 milioni all’anno e invece se ne dovrebbero spendere per un piano serio e duraturo almeno 2/3 miliardi all’anno. Ma questo “gap” è scorretto applicarlo a una sola regione. Il secondo punto riguarda la cattiva “performance” dell’Emilia-Romagna in termini di consumo del suolo. Si è letto e riletto che l’Emilia-Romagna è la regione a più alto consumo di suolo del paese. Cosa non vera.

 

L’Emilia-Romagna, con l’8,90 per cento di suolo consumato, risulta dai dati di Ispra del 2021 la terza regione per consumo di suolo, abbastanza distaccata dai valori di Lombardia (12,12 per cento) e Veneto (11,90). E questa è la prima verità. La seconda verità è che il consumo di suolo appare elevato in queste tre regioni, certo dentro un trend nazionale che ha un po’ esagerato specialmente negli anni del boom economico, anche perché si tratta di regioni che hanno una grossa parte di territorio pianeggiante e perché, cosa da non vergognarsi, sono la “locomotiva economica” del paese. È in queste tre regioni che si produce una buona fetta del pil nazionale, dove ci sono infrastrutture, aziende e centri produttivi che competono a livello europeo e mondiale e dove si produce innovazione organizzativa, tecnologica e imprenditoriale.

 

Quindi non cerchiamo di strizzare l’occhio a chi dice o pensa che “in fondo, i romagnoli se la sono cercata” con quella voglia continua e incessante “di produrre, di fare e di sviluppare”. E magari pensiamo al fatto che gran parte dei disavanzi territoriali del resto del paese sono coperti dalla ricchezza prodotta in questi luoghi. Insomma, anche per questo, lasciamo prevalere la pietas e la volontà di dare un fattivo aiuto alle popolazioni. Ed evitiamo di mettere in croce, senza riscontri effettivi e documentati, l’operato di istituzioni e di popolazioni di un territorio che si presenta come una fra le componenti più dinamiche del paese.

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