Quando accade un evento tragico in Italia la nostra tradizionale cultura cattolica, di cui siamo tutti chi più chi meno portatori sani, ci porta istintivamente a reagire in due modi speculari. Il primo è la “pietas”. Ci viene un senso di pietà per le vittime dell’evento, una vicinanza alle popolazioni e ai territori colpiti e infine, cosa importantissima, la volontà di contribuire con denaro o azioni alle fasi di emergenza e alla ricostruzione dei luoghi. Il secondo è invece la “ricerca del colpevole”. Se è accaduta una disgrazia, qualcuno non ha fatto il proprio dovere e, in qualche modo, ha messo in campo, con azioni, disattenzioni e comportamenti attuali o passati, atti non adeguati a mantenere e rafforzare la sicurezza delle popolazioni. Anche nella vicenda dell’alluvione in Emilia-Romagna sono scattate le due reazioni istintive. Non mi dilungo sulla prima. Ma le foto dei ragazzi nella mota, i “nuovi angeli del fango” rimasti nella memoria collettiva dalla alluvione di Firenze del 1966, dicono tutto. Meglio di tante parole.
Abbonati per continuare a leggere
Sei già abbonato? Accedi Resta informato ovunque ti trovi grazie alla nostra offerta digitale
Le inchieste, gli editoriali, le newsletter. I grandi temi di attualità sui dispositivi che preferisci, approfondimenti quotidiani dall’Italia e dal Mondo
Il foglio web a € 8,00 per un mese Scopri tutte le soluzioni
OPPURE