La Germania prende il controllo delle raffinerie russe. E l'Italia con Priolo?

Luciano Capone

Berlino prende in "amministrazione fiduciaria" le raffinerie della russa Rosneft per garantire i lavoratori e azzerare l'import di petrolio russo. In Sicilia c'è una raffineria di proprietà della russa Lukoil, che ha fatto raddoppiare le importazioni italiane di greggio russo, ma il governo non ha ancora deciso cosa fare. E a dicembre scatta l'embargo

La Germania prenderà il controllo delle attività tedesche di Rosneft, il colosso petrolifero russo che con i suoi impianti rappresenta circa il 12% della capacità di raffinazione del paese. Circa metà di questa capacità è soddisfatta dalla raffineria di Schwedt, vicino a Berlino, che lavora il greggio russo in arrivo dall’oleodotto Druzhba. La raffineria verrà affidata in amministrazione fiduciaria all’agenzia federale che gestisce le reti energetiche. La decisione è stata presa per garantire l’approvvigionamento energetico e i 1.200 lavoratori dello stabilimento: “Con questa decisione il sito di Schwedt sarà messo in sicurezza”, ha detto il cancelliere Olaf Scholz. Il piano del governo tedesco prevede anche un “pacchetto per il futuro” di circa un miliardo di euro di investimenti nella Germania orientale, di cui oltre 800 milioni stanziati solo per Schwedt. “La Russia, lo sappiamo da tempo, non è più un fornitore di energia affidabile”, ha dichiarato Scholz. “Non abbiamo preso questa decisione alla leggera, ma era inevitabile”.

 

La mossa del governo tedesco conferma l’obiettivo di azzerare completamente le importazioni di petrolio dalla Russia entro la fine dell’anno, in linea con l’obiettivo dell’embargo imposto dall’Unione europea a partire da dicembre. In teoria, formalmente, la Germania avrebbe potuto evitare questa decisione perché il sesto pacchetto di sanzioni prevede lo stop al petrolio via nave (che rappresenta il 90% dell’import europeo dalla Russia), ma concede un’esenzione temporanea per il greggio trasportato tramite oleodotto (come nel caso della raffineria di Schwedt). Ma Berlino si è impegnata a chiudere anche gli oleodotti. La decisione tedesca è particolarmente rilevante per l’Italia, che si trova in una condizione per certi versi analoga e per altri più complicata.

 

Il problema riguarda la raffineria di Priolo Gargallo, in Sicilia, che rappresenta per l’Italia una capacità di raffinazione superiore a quella di Schwedt, dà lavoro a 3 mila persone tra addetti diretti e indotto e produce energia elettrica per la Sicilia. Anche l’Isab di Priolo, infatti, è controllata da una società russa: la Lukoil. Dopo l’invasione dell’Ucraina, la raffineria si è trovata a poter operare solo con petrolio russo. Prima l’Isab di Priolo aveva diversi fornitori e utilizzava il greggio degli Urali solo per un terzo del suo fabbisogno, che dopo la guerra è diventato il 100%. Sebbene le sanzioni europee non colpissero il settore energetico – e la Lukoil non fosse un soggetto sanzionato – l’Isab si è vista tagliare tutte le linee di credito dalle banche, che per “overcompliance” hanno preferito evitare di avere rapporti con un’azienda controllata da russi. E così l’Isab, per potere andare avanti, ha dovuto fare affidamento esclusivamente sulle forniture provenienti dalla casa madre.

 

Questo paradosso ha però prodotto effetti enormi a livello nazionale: mentre l’Italia dimezzava la dipendenza dal gas russo, raddoppiava quella dal petrolio russo. Per un effetto dovuto integralmente al caso dell’Isab di Priolo, nei primi sei mesi del 2022 l’Italia ha aumentato le importazioni di greggio russo del 143% facendo diventare la Russia il primo fornitore quando nel 2021 era il quarto. L’Italia si è, quindi, trovata su una traiettoria divergente rispetto a tutti i paesi europei e occidentali, che riducevano le importazioni di greggio dalla Russia, e più simile a quella di paesi come Cina, India e Turchia.

 

Il problema è stato a lungo ignorato, ma a dicembre entrerà in vigore l’embargo europeo. La società riceverà l’ultima nave a novembre. È pronta a riprendere contatti con i fornitori non russi, ma bisogna sbloccare la situazione. Che, per forza di cose, vuol dire intervenire sull’assetto proprietario. Come soluzione ponte l’ex ministro Stefania Prestigiacomo (FI) aveva proposto una linea di credito garantita da Sace, ma il Mef che controlla la società sostiene che non si possa fare e che non ci sono i tempi per la due diligence. Antonio Nicita, candidato del Pd nella Sicilia orientale, propone una variante della soluzione tedesca: un Monitoring trustee (modello usato spesso dall’Antitrust Ue) che attraverso manager indipendenti dalla proprietà russa supervisioni la gestione della società, le consenta di avere linee di credito e agevoli il cambio di assetto proprietario.

 

Visti gli elevati margini attuali, gli acquirenti non dovrebbero mancare. “Si stanno valutando acquisizioni private internazionali”, dice al Foglio il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani. “Ovviamente non saranno russi”, precisa con un sorriso. Ma restano appena un paio di mesi di tempo per trovare una via d’uscita.

 

Di più su questi argomenti:
  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali