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sovranismo finanziario

La fuga degli investitori esteri e i danni del patriottismo economico

Giuseppe De Filippi

Gli investimenti stranieri nelle società quotate alla Borsa italiana sono calati. La ritirata spalmata su quasi tre anni indica che la visione delle possibilità di sviluppo del settore produttivo, dei servizi e della finanza del nostro paese, non è positiva. Il presidente di Unimpresa: "Spia che dovrebbe far scattare l’allarme rosso nel mondo economico"

I sovranisti, o patrioti secondo la nuova accezione, ci resteranno quasi male, perché gli investimenti esteri nelle società quotate alla Borsa italiana sono calati e per loro viene a mancare un feticcio polemico.

 

 Esattamente, nei calcoli di Unimpresa, tra la fine del 2019 e il primo trimestre del 2022, che è anche il periodo in cui abbiamo attraversato la pandemia, la percentuale di capitale delle società quotate italiane in mano a fondi esteri è calata dal 49 al 45 per cento. Insomma, lo straniero va via già prima che il sovranista, o patriota, lo cacci. Non c’è da sperare che le parole accorate sulla colonizzazione economica dell’Italia (sempre imminente, ma mai realizzata) si riducano. In campagna elettorale sono in grado di mobilitare l’opinione pubblica, colpita da chi addita centrali finanziarie pronte ad agire da fuori confine per sfruttare la manifattura, i grandi marchi, le tradizioni italiane. Solo negli ultimi giorni abbiamo ascoltato la riproposizione di questa litania nel caso di Ita con la privatizzazione attraverso  investimenti esteri, in realtà ancora sospesa, e, in termini generali, nel caso delle concessioni balneari (e anche nella annosa vicenda dei taxi si parla spesso di speculatori esteri pronti a mettere le mani sul nostro ricco tassametro). 

Ma torniamo alle quotate. Nel loro caso ad allontanarsi, o almeno a ridurre la presenza nel capitale, sono i grandi fondi che agiscono su tutte le borse mondiali e sugli altri mercati finanziari. Hanno la possibilità di scegliere su quali tavoli giocare. Normalmente hanno una visione di medio o lungo termine e rappresentano gli interessi di investitori con le stesse prospettive, in cerca di rendimenti che riproducano le aspettative di crescita economica del settore reale. E proprio per queste ragioni, togliendo di mezzo le battute sui sovranisti, dovremmo  preoccuparci. Perché una ritirata notevole e spalmata su quasi tre anni indica che la visione delle possibilità di sviluppo del settore produttivo, dei servizi e della finanza in Italia, non è positiva.

Il quadro generale con la distribuzione delle quote di capitale delle aziende quotate diventa ancora più desolante, e la spia rossa dell’allarme si fa più intensa, quando si guarda al resto della composizione della torta. Certo, nel periodo, la capitalizzazione totale delle quotate è salita, passando a 2.322 miliardi a 2.558 miliardi. Ma ad aumentare sono le quote in mano alle stesse imprese, passate da 90,8 a 121,9 miliardi, e questo è un palese indice di mancanza di dinamicità o di attrattività. Ci si può consolare con un piccolo aumento della quota in mano ad assicurazioni e  fondi pensione, ma resta molto esigua in termini assoluti, passando da 4,2  a 6,3 miliardi. Significa che non c’è ancora un saldo ancoraggio degli investimenti con una prospettiva previdenziale o assicurativa nel nostro mercato azionario. 

Ma torniamo alla fuga dello straniero. Secondo il presidente di Unimpresa, Giovanni Ferrara, “I disinvestimenti di fondi esteri sono una spia che dovrebbe far scattare l’allarme rosso nel mondo economico e finanziario e i partiti che formeranno il nuovo governo dovrebbero promuovere senza indugi tutti gli interventi necessari a invertire la tendenza e trattenere capitali dentro i nostri confini”. Leggendo i programmi e ascoltando gli interventi pubblici si ha un’impressione diversa delle intenzioni dei partiti più favoriti dai sondaggi.

I patrioti di FdI hanno già preso posizione nei casi citati sopra e preparano interventi che vanno in direzione opposta a quella auspicata da Unimpresa, con disincentivi agli investimenti esteri  e penalizzazioni per le operazioni di breve termine. Si parla spesso di aziende non quotate, certo, ma nel caso degli investimenti esteri la presenza in Borsa dà bene l’approssimazione del totale. Mandarli via, come da programmi politici dati per vincenti, è facile e, comunque, vanno via già per conto loro. Farli restare o addirittura arrivare è più difficile, perché comporterebbe i chimerici miglioramenti per giustizia civile, regolazione di mercato, efficienza finanziaria, mercato del lavoro. Tutte cose che sono uscite dall’attenzione per far spazio al patriottismo economico.

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