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lo scenario

Il gas supera i 300 euro, ma mettere un tetto al prezzo non è semplice: tutti i nodi

Maria Carla Sicilia

Gli unici paesi che hanno introdotto un price cap sono Portogallo e Spagna. Quel modello è utile da studiare ma difficile da replicare in Italia, senza l'Unione europea. Appunti per i partiti in campagna elettorale

Introdurre un price cap per limitare i prezzi fuori controllo del gas – che nella mattina di oggi ha toccato il nuovo record di 315 euro MWh – è difficile tanto a dirsi quanto a farsi. Soprattutto, dietro alla generica indicazione di fissare un tetto per contenere i rincari in bolletta ci sono diversi meccanismi che finora non hanno chiarito né Bruxelles né i partiti che in questa campagna elettorale rilanciano l’idea. Sono gli operatori che devono vendere il metano a un prezzo amministrato ai clienti finali – e in tal caso chi compensa la differenza e con quali coperture? – oppure sono i fornitori come Gazprom che devono vendere sotto una certa soglia?

Il primo caso, che riguarda il mercato al dettaglio, è per sommi capi quello che da due mesi sperimentano Spagna e Portogallo, che insieme costituiscono “l’eccezione iberica” a cui la Commissione europea ha dato il via libera. Un’eccezione appunto, perché i due paesi sono fisicamente isolati rispetto agli altri mercati, avendo interconnessioni limitate solo con la Francia. “Questi paesi hanno applicato un pezzo ‘cappato’ sul gas che viene utilizzato per la produzione di energia elettrica, con il vantaggio di aver dimezzato anche il prezzo dell’elettricità”, spiega al Foglio Luigi De Paoli, professore ordinario di Economia applicata all’Università Bocconi. L’effetto è anche quello di recuperare gli extraprofitti di chi produce rinnovabili e vende a un prezzo legato a quello del gas, un aspetto sottolineato anche ieri dal presidente del Consiglio Mario Draghi nel suo intervento al Meeting di Rimini. “Non può essere un metodo strutturale – sottolinea De Paoli – ma si ottiene un risultato che al momento ha dei vantaggi”. Copiare questo modello in Italia non sarebbe possibile almeno per un motivo: “Se abbassassimo il prezzo in questo modo rischieremmo di esportare energia elettrica in altri mercati a un prezzo sovvenzionato dai consumatori italiani”, nota il professore. Un'obiezione sollevata anche da Giorgia Meloni lunedì a Rimini, in risposta alla proposta di Enrico Letta. “Dovremmo invece ragionare a livello europeo – continua  De Paoli – adottando una soluzione transitoria. Possiamo sovvenzionare le famiglie e le imprese, ma calcolando per quanto tempo e con quali costi”.

L’alternativa, più vicina alla proposta che starebbe studiando la Commissione Ue, è quella di agire sul mercato all’ingrosso. Anche perché avrebbe l’effetto di indebolire la Russia, che esporta meno gas dell’anno scorso guadagnando di più. Anche in questo caso non si hanno molti elementi di giudizio. “Non è mai uscita una proposta articolata. Al momento è poco più di un’aspirazione. Ma ci sono molte complicazioni”. E domande in sospeso, che solleva ancora De Paoli: “Chi vende ad altri mercati a un prezzo più basso, per esempio, sarebbe portato a ridiscutere i suoi contratti. Mentre il gas che non viene scambiato a prezzo marginale ma a prezzo fisso che fine fa? E poi, come si distribuisce il gas acquistato?”. Intanto, quando il prossimo Consiglio europeo di fine ottobre discuterà ancora di price cap, sarà passato un anno dall’inizio della corsa dei prezzi sul mercato olandese.
 

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  • Maria Carla Sicilia
  • Nata a Cosenza nel 1988, vive a Roma da più di dieci anni. Ogni anno pensa che andrà via dalla città delle buche e del Colosseo, ma finora ha sempre trovato buoni motivi per restare. Uno di questi è il Foglio, dove ha iniziato a lavorare nel 2017. Oggi si occupa del coordinamento del Foglio.it.