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Perché l'aumento dell'inflazione non è una tragedia

Giuseppe De Filippi

Rinnovi contrattuali, vantaggi export e trionfo dell’euro: i prezzi che crescono contribuiscono a smuovere le acque. Il problema semmai è la stagnazione dei redditi

Un costernato Davide Tabarelli scriveva ieri sul Sole 24 Ore, osservando l’andamento sostenuto della domanda di gas e di elettricità da parte delle famiglie in Italia, che “se non ce l’ha fatta il prezzo, il buon senso farà ancora meno”. Nel caso dell’energia la riduzione dei consumi ha un valore per la collettività, perché permette di aumentare la destinazione a stoccaggi e predispone a un anno in cui si sia meno dipendenti dai ricatti russi. Perciò si fanno campagne pubbliche per indurre più morigeratezza tra aria condizionata, riscaldamento e lucine varie. Lasciamo il dilemma sul giusto nudge, sulla giusta spinta gentile da scegliere per convincere molti a ridurre almeno i consumi inutili, perché ora ci interessano i prezzi. E’ il primo anno, e la prima estate, ad alta inflazione da molto tempo a questa parte, ma, appunto, non sembra che ce ne sia consapevolezza. La memoria dei prezzi che corrono è sparita e non tocca i comportamenti attuali. Nessuno, poi, crede che gli aumenti siano destinati a mantenere lo stesso ritmo. Insomma, l’inflazione che sembra così minacciosa nel dibattito ufficiale poi non la prende sul serio nessuno nei comportamenti ordinari. Sì, c’è il capo della maggiore azienda di distribuzione moderna, già orientata al discount, che nota un buon andamento della sua clientela, con scontrini medi stabili, ma con la sparizione delle spese leggermente voluttuarie, come piante e fiori o piccoli elettrodomestici. 


Ma queste scelte sono determinate non tanto dall’inflazione quanto dalla stagnazione dei redditi. Forse la differenza è sottile, ma si tratta di due partite diverse. L’inflazione, anzi, sta contribuendo a smuovere le acque. I rinnovi contrattuali hanno accelerato e restano solo 500.000 lavoratori con contratto scaduto recentemente. Nel sorprendente secondo trimestre c’è stato, poi, ancora un contributo positivo della domanda interna, mentre a luglio sono emersi i primi segnali di raffreddamento delle pressioni sui prezzi. Insomma, l’inflazione si sta già calmando e le nostre abitudini di consumo non sono cambiate, se non per scelte marginali. Non c’è frenata di acquisti a causa dei prezzi alti, né c’è corsa agli acquisti per il timore di ulteriori rincari. Per l’euro, sia detto per inciso, è un trionfo di credibilità, perché la nostra moneta tranquillizza i suoi detentori anche oltre la logica (e in campagna elettorale, esclusi gli ossessionati, non si parla più di uscire dall’area monetaria europea). 


L’estate, con forti afflussi di consumatori non residenti, porta un’altra dose di indifferenza all’inflazione. Gli albergatori parlano di 90 per cento di stanze vendute. Per gli americani, poi, la forza del dollaro aiuta a stemperare qualsiasi legnata nel conto. Mentre gli italiani sanno di essere spesso da entrambi i lati della barricata nella guerra dei prezzi. Sono consumatori ma anche venditori, e perciò possono adeguare la loro offerta, o proprietari di immobili. L’inflazione crea anche un effetto ricchezza, perché tutti sono convinti (anche oltre la razionalità) delle prospettive eterne dell’investimento immobiliare, anche come scudo antinflazionistico. Il credito al consumo, colpito anche dai tassi in crescita, frena ma non crolla. L’autunno caldo, per ora, è un riferimento un po’ pigro ai noti eventi del 1969. Questa volta all’autunno ci arriviamo con i contratti, come si diceva, in gran parte, appena rinnovati, quindi bisognerebbe almeno cambiare il termine di paragone. Resta la questione gigante dei prezzi energetici. Torniamo a Tabarelli e al suo sconforto, in attesa del nudge giusto, quello che potrà evitarci di dover usare i prezzi come strumento di riduzione dei consumi.

 

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