Il simbolo del Monte Paschi di Siena, la banca più antica in Italia (Getty Images

Il dossier

Mps è un dossier complicato ma gestibile. Quale banca lascia Draghi al suo successore

Mariarosaria Marchesano

Meno crediti deteriorati e un accordo con i sindacati per la fuoriuscita di 3.500 dipendenti aiuteranno il prossimo governo a vendere l'istituto. In arrivo anche un aumento di capitale ma è necessario che chi vincerà le elezioni non segua vuoti slogan elettorali

Due notizie di questi giorni farebbero pensare che il dossier Montepaschi si sta incanalando sul binario giusto. La prima è che i sindacati hanno raggiunto (responsabilmente, ci tengono a sottolineare) un accordo per la fuoriuscita di 3.500 dipendenti entro novembre attraverso il fondo di solidarietà, gettando così le basi per un ricambio generazionale necessario al rilancio della banca. La seconda è che l’istituto senese si è disfatto di un’altra vistosa tranche (quasi 1 miliardo di euro) di crediti deteriorati grazie all’intervento della società pubblica Amco e della Illimity Bank di Corrado Passera.

 

Non è un caso, infatti, che la Commissione europea abbia accettato di prorogare la scadenza per la privatizzazione del Monte, inizialmente prevista per fine 2021, senza neanche esplicitare nel dettaglio la durata di questa proroga. In pratica, il Mef ha più tempo per uscire dal capitale di Siena ma non si sa esattamente quanto. Starà al nuovo governo fare buon uso di quest’apertura di credito di Bruxelles apparentemente senza limiti ottenuta dall’esecutivo di Mario Draghi. Non è un caso, si diceva, perché nel frattempo la banca, il suo maggior azionista, lo stato, e le parti sociali si sono impegnate a rispettare le nuove condizioni che pure l’Europa ha posto: dismissioni, cessioni, chiusure di filiali e così via. Si tratta di misure compensative che sostituiscono i precedenti impegni approvati nell’ambito della ricapitalizzazione precauzionale autorizzata dalle autorità europee nel 2017.

 

Tutta questa fase preparatoria è propedeutica a un appuntamento cruciale: l’aumento di capitale da 2,5 miliardi che avverrà, questo sì che ha una scadenza, in autunno proprio quando a Palazzo Chigi ci sarà una nuova maggioranza. Se tutto andrà bene, il futuro governo non erediterà, com’è successo a quello di Draghi, una patata tanto bollente da mettere il ministro del Tesoro, Daniele Franco, nelle condizioni di cercare affannosamente un gruppo bancario disponibile ad un’aggregazione con Siena (come dimenticare la trattativa, a tratti surreale, tra Mef e Unicredit?). Il prossimo esecutivo erediterà un dossier complesso ma gestibile (nel frattempo si sono ridimensionati anche i rischi legati ai processi ancora in corso che coinvolgono i vecchi amministratori della banca) se, però, accetterà di proseguire nel solco già tracciato da Draghi e non sceglierà di cavalcare l’onda populista come ha fatto in questi giorni il leader della Lega Matteo Salvini.

 

In piena campagna elettorale su tutti i fronti, Salvini ha detto che il piano della Commissione europea “è un’ulteriore mazzata su Monte dei Paschi dopo i tragici errori del Pd che hanno rovinato l’istituto bancario con danni stimati dalla stessa Regione Toscana in 50 miliardi di euro”. Gli ha fatto eco Claudio Borghi su Twitter dicendo che su Mps “se vinceremo le elezioni, faremo le cose a modo nostro”. Al di là degli slogan sarebbe interessante capire che cosa significhi tutto ciò nella pratica considerando che la banca senese ha bisogno di essere ricapitalizzata (secondo alcuni osservatori, 2,5 miliardi non sarebbero neanche sufficienti a coprire l’intero fabbisogno) e che questa operazione è sì in maggior parte a carico dello stato, ma che per diverse centinaia di milioni di euro se ne dovranno far carico investitori privati i quali si sentiranno incentivati a farsi avanti solo se Mps si presenterà ripulita e più efficiente.

 

L’aumento di capitale dovrebbe cominciare a fine ottobre e concludersi entro il 12 novembre come ha dichiarato l’amministratore delegato di Mps, Luigi Lovaglio, in sede di commissione banche. Solo il buon esito di quest’operazione (si vocifera di trattative in corso con alcuni partner industriali come Axa e Anima) potrà convincere definitivamente Bruxelles a non forzare la mano sui tempi per la successiva uscita del Mef e il ritorno di Mps completamente nelle mani dei privati. Tutto il resto sono solo parole.

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