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Frena l'industria: combustibili carissimi e investimenti al ribasso

Dario Di Vico

La tendenza della produzione industriale è al ribasso per colpa del caro energia. E in Germania la situazione è da scenario di guerra: un campanello d’allarme da parte del paese che segna il passo

Una secca frenata. Per l’ennesima volta i dati ufficiali dell’Istat hanno preso in contropiede il consensus degli analisti ma questa volta in peggio. I primi pensavano che la produzione industriale di giugno 2022 fosse arretrata di qualche zero virgola e invece il comunicato ufficiale segna -2,1 per cento mese su mese. E’ vero che calcolata sugli ultimi 90 giorni la produzione resta ancora in territorio positivo (+1,2 per cento sul trimestre precedente) ma quella che conta, in questo caso, è la tendenza. E dopo il drastico calo della fiducia delle imprese e dei consumatori l’allarme suona per la seconda volta.

 

Tutto il manifatturiero è in contrazione ma spicca in chiave negativa il dato dell’automotive che ha visto la produzione calare a giugno di ben sei punti e mezzo. Ad aumentare sono state solo le forniture di energia elettrica, gas, vapore e aria che hanno fatto segnare +1,9 per cento. 
Se dai dati Istat passiamo alle indagini delle Confindustrie territoriali, come Varese e Padova-Treviso, la sensazione di una polarizzazione del sistema produttivo emerge chiaramente. Sono i settori cosiddetti energivori a mettere in conto più di altri la frenata per la difficoltà di far fronte ai costi (carissimi) del combustibile e più in generale per la necessità di ridefinire il business e il funzionamento delle supply chain.

 

Tutto ciò ha riflessi immediati e negativi sugli investimenti. Da qui la richiesta (reiterata) del presidente Leopoldo Destro (Assindustria Venetocentro) di mettere un tetto al prezzo del gas e garantire la continuità delle forniture in un autunno che definisce “complesso”.
È corretto sottolineare però come lo stop non sia stato omogeneo, almeno per quanto riguarda i territori del nord più competitivi. Un’indagine condotta fra le imprese varesotte indica nel solo 23,2 per cento la quota delle imprese che hanno diminuito i livelli produttivi a fronte di un 36,7 per cento che li ha addirittura aumentati. Tre aziende su quattro però hanno pagato l’aumento dei prezzi del gas con una riduzione della marginalità a cui fa da pendant una contrazione degli ordini stimata mediamente nel 25 per cento. Dal Veneto un terzo delle imprese comincia a segnalare, a causa di tassi e spread, un peggioramento delle condizioni di accesso al credito.

 

L’indagine di Padova e Treviso serve a darci anche qualche traccia sul secondo semestre ’22: il 23,4 per cento delle imprese aumenterà la produzione, il 38,4 per cento vede un peggioramento degli ordini per il mercato interno e il 27,1 per cento sconta una contrazione dell’export a causa del combinato disposto guerra, inflazione e debole commercio estero. La sorpresa è che, pur in queste condizioni di incertezza, circa la metà delle imprese trevigiane e padovane abbia intenzione di assumere nuovo personale, a dimostrazione di come la carenza di manodopera sia una strozzatura di medio periodo che ha l’epicentro nel nuovo triangolo industriale.

 

Sempre rimanendo in chiave di lavoro, la contrazione della produzione industriale non ha generato ancora una ricaduta significativa di crisi aziendali (anzi, per ora i dati sulla cassa integrazione parlano di riduzione nell’utilizzo). I casi che sono giunti all’onore delle cronache si contano fortunatamente ancora sulle dita di una mano e sono quelli della finlandese Wärtsilä che vuole lasciare Trieste, della Ansaldo Energia di Genova e della Nidec Asi di Monfalcone.
Se poi però dall’Italia volgiamo lo sguardo al nostro principale partner industriale, la Germania, le preoccupazioni salgono di intensità. Quella che è stata la locomotiva d’Europa per antonomasia sta segnando il passo, le aziende riducono la produzione e il condizionamento degli approvvigionamenti energetici si fa sentire in una misura non paragonabile con l’Italia.

 

Si prospetta, infatti, una serie di misure di razionamento energetico che fa sensazione: lo spegnimento delle luci notturne di 200 monumenti a Berlino, il fermo delle fontane di Hannover, i semafori da disconnettere ad Augsburg e persino lo stop dei birrifici sono tutte istantanee che evocano scenari di guerra. Ma ovviamente quello che preoccupa di più noi italiani sono i riflessi sul livello di attività delle grandi case automobilistiche, mercato privilegiato di sbocco della nostra componentistica. Non è un caso che la prima associazione di rappresentanza che ha sentito la necessità di mettere nero su bianco un suo “manifesto per la prossima legislatura” sia stata l’Associazione nazionale filiera industria automobilistica (Anfia). Tra sbandamento tedesco,  transizione all’elettrico e incertezza politica l’oroscopo dell’industria dell’automotive italiana non è da consigliare ai deboli di cuore.

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