(Foto Ansa)

cantiere aperto

Cosa manca alla riforma degli appalti per avvicinare davvero l'Italia all'Europa

Mario Pagani e Claudio Di Donato

Già nel 2014 Bruxelles definì i tratti fondamentali per regolamentare il mercato pubblico degli appalti. Indicazioni mancate dalla riforma del 2016 e successivi correttivi. Saranno quindi i decreti attuativi a dare la misura dell’effettivo cambiamento. Ecco come

Dalla Legge Merloni nel lontano 1994, la regolamentazione dell’accesso agli appalti pubblici si è dimostrata un terreno assai sconnesso, caratterizzato da un profondo scarto tra gli obiettivi fissati nell’impianto normativo e l’effettivo funzionamento del quadro regolatorio. Il Parlamento recentemente ha approvato in via definitiva la legge delega per il nuovo codice degli appalti, misura che rientrava tra le condizioni da soddisfare per ottenere le risorse del Next Generation Eu. Si tratta quindi di un tassello fondamentale per rispettare il timing per spendere le risorse del Pnrr. E tuttavia è ancora prematuro affermare che l’Italia finalmente si è dotata di un impianto normativo efficace e moderno. La finalità della legge delega è “razionalizzare, riordinare e semplificare la disciplina vigente”, parole identiche a quelle del 2016 per presentare il nuovo codice appalti. Quella riforma non è riuscita a tradurre con coerenza gli obiettivi strategici, nonostante una costante e rilevante attività di manutenzione normativa composta da un decreto correttivo, il decreto sblocca cantieri e due decreti semplificazione. Cna ha espresso una valutazione complessivamente positiva sulla legge delega in quanto ha recepito alcune sollecitazioni della Confederazione che il testo iniziale trascurava. In particolare l’introduzione dell’obbligo, per le stazioni appaltanti, di motivare la decisione di non procedere alla suddivisione in lotti e la previsione di criteri premiali per le aggregazioni di imprese, in modo da favorire la partecipazione di micro e piccole imprese al mercato degli appalti pubblici. Quest’ultima non è una concessione al sistema delle piccole imprese ma il rispetto di uno dei principi fondamentali delle direttive comunitarie alle quali devono ispirarsi le regolamentazioni nazionali.

Già nel 2014 Bruxelles definì i tratti fondamentali per regolamentare il mercato pubblico degli appalti: semplificazione e trasparenza; riduzione degli oneri a carico delle imprese; facilitazione dell’accesso a micro, piccole e medie imprese. Indicazioni  mancate dalla riforma del 2016 e successivi correttivi. In particolare sull’apertura del mercato il bilancio è sconfortante. Solo nel 2020 oltre i due terzi del totale dei bandi presenta importi superiori a 5 milioni di euro e il 44 per cento del totale supera i 25 milioni con l’effetto che l’83 per cento del mercato degli appalti pubblici è concentrato in meno del 4 per cento del totale delle imprese. Il costante aumento dell’importo a base di gara ha provocato pertanto la progressiva emarginazione di micro e piccole imprese da un mercato rilevante in termini di volumi ma scarsamente efficiente per le dinamiche concorrenziali, a differenza di quanto si registra nel settore privato. La missione di assicurare condizioni di trasparenza e favorire la partecipazione delle imprese ha fallito. La delega per il nuovo codice dunque offre una straordinaria opportunità per disegnare un assetto regolamentare organico, innovativo così da porre le condizioni per un mercato efficiente nelle dinamiche e capace di qualificare al meglio la spesa pubblica. Un mercato aperto ed efficiente assicurando la massima trasparenza è il principale requisito per mettere a terra le risorse del Pnrr. La fotografia scattata dall’Anac per il 2021 evidenzia la crescita consistente delle procedure negoziate e degli affidamenti diretti per effetto delle deroghe temporanee per i contratti di importo inferiore alla soglia comunitaria. E’ la conferma che strumenti e procedure di aggiudicazione agili, senza pregiudicare la trasparenza, rafforzano la capacità del mercato dal lato della domanda e da quello dell’offerta.


Saranno quindi i decreti attuativi a dare la misura dell’effettivo cambiamento. Occorre passare dalle parole ai fatti su semplificazione procedure, accesso a micro e piccole imprese e suddivisione lotti. Un punto qualificante sarà la disciplina del sottosoglia, serve una discontinuità netta, una regolamentazione più leggera per non generare effetti negativi sulle imprese di minori dimensioni. Il salto di qualità passa attraverso la professionalizzazione delle stazioni appaltanti. Il numero potrebbe diminuire ma assicurare economie di scala e qualità della spesa pubblica non deve significare concentrare il mercato, danneggiando le piccole imprese e contraddicendo uno dei pilastri delle direttive europee. Cna inoltre si attende novità importanti sul sistema dei controlli con un chiaro orientamento a rafforzare le verifiche sostanziali e alleggerire quelle ex ante che non garantiscono la qualità dell’esecuzione e producono vantaggi solo agli operatori con progettisti e legali ma privi di organizzazione. E’ necessario imparare dalle recenti esperienze, prevedendo percorsi formativi per i soggetti interessati ed evitare così il blocco del mercato come accaduto nel 2016. La delega è il primo passo ma la strada per un mercato degli appalti pubblici efficiente è ancora lunga e piena di insidie.

 

Mario Pagani 
(responsabile politiche industriali Cna) 
e Claudio Di Donato 
(Cna)

Di più su questi argomenti: