L'impianto di esportazione Cameron LNG a Hackberry, in California, dove il gas naturale viene raffreddato e trasformato in liquido (Foto AP/Martha Irvine)

Così l'Italia evita (ancora) lo stato di allerta sul gas. Numeri

Maria Carla Sicilia

La riduzione dei flussi dalla Russia preoccupa Berlino, mentre il nostro paese al momento si mantiene in preallarme. Nell'ultima settimana, sulla quota che importiamo ogni giorno, Mosca pesa solo per il 18 per cento. A compensare gli ammanchi ci sono altri canali, più affidabili di Gazprom. E il paracadute del carbone

La riduzione dei flussi di gas russo verso l’Europa preoccupa di più il governo tedesco di quello italiano. Almeno a giudicare dai passi formali che i due esecutivi hanno compiuto nelle ultime ore. Da una parte Berlino, che ieri ha attivato lo stato di allerta, dall’altra Roma, che martedì ha deciso di mantenere il primo dei tre livelli del piano di emergenza, quello di preallarme. Le differenze tra i due livelli sono sottili dal punto di vista sostanziale, ma diventano un termometro per misurare lo stato di fatto della situazione e rivelano quanto vicini siamo alle misure più estreme che si attivano con il terzo livello, come il razionamento del gas e l’utilizzo delle riserve strategiche.

 

Al momento il comitato di emergenza e monitoraggio istituito presso il ministero della transizione ecologica presieduto da Roberto Cingolani ritiene che la situazione sia ancora sotto controllo: nonostante la compagnia russa Gazprom abbia già notevolmente ridotto le sue esportazioni verso l’Italia, non si sono verificate ancora ripercussioni sul sistema, grazie anche alla domanda in calo come di consueto tra aprile e giugno. Secondo i dati che il Foglio ha potuto analizzare, su circa 200 milioni di metri cubi di gas che l’Italia importa quotidianamente, tra il 13 e il 20 giugno Mosca ha contribuito con poco meno del 18 per cento, consegnando in media solo 35 milioni di metri cubi di gas al giorno.  

 

Il crollo delle importazioni è iniziato da aprile ed è proseguito anche a maggio: in questi due mesi le consegne quotidiane al valico di Tarvisio non hanno superato i 60 milioni di metri cubi, con minimi anche di 30 milioni. Per fare un confronto, 60 milioni di metri cubi è il minimo che Gazprom ha consegnato a marzo ogni giorno, con picchi fino a 75 milioni. 

     
A compensare gli ammanchi ci sono altri canali più affidabili di Gazprom. Se escludiamo Passo Gries, da cui arrivano flussi di gas norvegese e olandese particolarmente variabili, ne restano altri tre. Il primo, marginale ma stabile, è la produzione nazionale, da cui il governo conta di ottenere qualche milione in più di metano nei prossimi anni ma è ritardo con i provvedimenti che ne consentono l’avvio. Il secondo è il gas che arriva in Puglia dall’Azerbaijan via Tap, da cui stiamo ricevendo 31 milioni di metri cubi al giorno, quattro in più rispetto a inizio aprile. Infine, ci sono i volumi che arrivano dal nord Africa attraverso Mazara del Vallo e in piccola parte Gela, circa 70 milioni di metri cubi al giorno: nel complesso questa rotta sostiene quasi la metà dei consumi che si sono registrati in primavera, con  l’Algeria che è diventato il primo paese fornitore di gas in Italia (volumi pari al 31 per cento delle importazioni nei primi cinque mesi dell’anno).

  
Al metano via tubo si aggiunge poi il gas naturale liquefatto (Gnl) che arriva nei tre rigassificatori di Rovigo, Panigaglia e Livorno: si tratta nel complesso di 52 milioni di metri cubi al giorno che dall’anno prossimo aumenteranno grazie agli impianti galleggianti di Piombino e Livorno (il secondo ancora da confermare). A oggi il Gnl garantisce un quarto del totale importato e un terzo della domanda da soddisfare, che in questo periodo dell’anno è come sempre in calo.

  
Va infatti considerato che la riduzione dei flussi da Mosca è avvenuta ad aprile, con i consumi in calo per via del clima più mite. In linea con gli ultimi tre anni, la domanda è scesa intorno ai 150 milioni di metri cubi, consentendo dal 7 aprile il riempimento degli impianti di stoccaggio. Che restano tuttavia il punto più critico su cui si misurerà la tenuta del sistema, su cui pesa anche la crisi idrica che deprime la produzione idroelettrica e mette in difficoltà quella termoelettrica.  

   
L’obiettivo è arrivare a un riempimento del 90 per cento prima dell’inverno, ma il prezzo del gas rende l’operazione molto complicata e il flusso quotidiano è calato nell’ultimo mese, passando  da 80 milioni di metri cubi di maggio a 50 di giugno, con punte minime di 30 milioni al giorno. Rispetto all’anno scorso, alla data del 20 giugno, negli stoccaggi italiani ci sono 2 miliardi di metri cubi in meno (senza includere la riserva strategica di 4,6 miliardi di metri cubi): 5,2 miliardi invece di 7,2, su una capacità totale di 13,7.  

 
Dopo aver incaricato Snam di raggiungere il target di riempimento previsto per il mese di giugno e aver garantito linee di credito per le sostenere gli acquisti delle aziende più piccole, alle prese con prezzi che superano i 120 euro al Mwh, il governo resta tuttavia ottimista. Quanto basta, almeno, per non dichiarare subito lo stato di allerta. 

  
Il paracadute, intanto, resta il carbone. Secondo fonti non ufficiali riportate dal Sole 24, nei primi 5 mesi del 2022 la produzione di energia elettrica  dal carbone è rispetto all’anno scorso (da tre a sei terawattora). Ma c’è ancora margine per un aumento e gli operatori hanno iniziato a fare scorte.
 

Di più su questi argomenti:
  • Maria Carla Sicilia
  • Nata a Cosenza nel 1988, vive a Roma da più di dieci anni. Ogni anno pensa che andrà via dalla città delle buche e del Colosseo, ma finora ha sempre trovato buoni motivi per restare. Uno di questi è il Foglio, dove ha iniziato a lavorare nel 2017. Oggi si occupa del coordinamento del Foglio.it.