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editoriali

L'acciaio valdostano e la globalizzazione

Redazione

La vendita (parziale) del gruppo italiano Cogne Acciai Speciali della famiglia Marzorati a Taiwan, via giusta per crescere

Altro che reshoring. L’acquisizione della valdostana Cogne Acciai Speciali della famiglia Marzorati da parte della multinazionale di Taiwan Walsin Lihwa Corporation ha riportato con i piedi per terra coloro che sognano una nuova rivoluzione industriale in salsa tricolore e reso evidente che la globalizzazione non solo è viva e vegeta, ma che è ancora l’unico modo per realizzare obiettivi di crescita internazionale in settori ostici come la siderurgia. Con questa operazione, infatti, la Cogne Acciai punta a estendersi in Europa, ma anche in nord e sud America, e ad assicurarsi una presenza più massiccia sui mercati asiatici diventando il più grande gruppo al mondo nella produzione di acciai inossidabili lunghi speciali. Un percorso che, considerate le risorse necessarie, le sarebbe precluso senza agganciarsi a un gigante globale come quello taiwanese (5,7 miliardi di dollari di fatturato).

       

Il passaggio di proprietà preoccupa in particolare la Fiom-Cgil che l’ha definito “un fulmine a ciel sereno” e invitato l’azienda ad aprire un confronto sul piano industriale e occupazionale. Preoccupazione in parte comprensibile visto che la nascita, ai primi del Novecento, e lo sviluppo dell’azienda di Cogne è coinciso con la crescita e lo sviluppo urbano dell’area di Aosta. Una vera identificazione tra sistema produttivo e tessuto sociale come spesso accade con le grandi fabbriche.

     

In questo caso, però, non è detto che il territorio paghi un prezzo alla nascita di un campione globale che potrebbe portare benefici in termini di incrementi di ordini e di fatturato tanto più che la famiglia Marzorati non uscirà dal capitale sociale (cede il 70 per cento). Dunque, quello di Cgil potrebbe apparire un allarme esagerato se non fosse che anche in casa Fim-Cisl qualche mugugno si registra sebbene non in relazione alla vendita dell’azienda, di cui, dicono, non avrebbero difficoltà a parlare benissimo se solo sapessero che cosa prevedono gli accordi di cui il sindacato non è stato informato. Caso strano, a quanto pare, viste le buone relazioni.

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