(foto Ansa)

Visco, l'Italia e quella ricchezza media netta aumentata del 2 per cento

Stefano Cingolani

Minore disuguaglianza e meno povertà: la ripresa boom del 2021 spinge a pensare che il miglioramento si sia spalmato sull'insieme della popolazione. Ma per risolvere i problemi strutturali bisogna fare le riforme, come ammonisce il governatore della Banca d'Italia

E’ diminuita la diseguaglianza, si è ridotta la povertà assoluta. Tutto questo nonostante il Covid-19, o meglio in risposta agli effetti della pandemia. Possibile? E allora il tamtam nazional-populista? Sembrava di ascoltare John Belushi nel film “Blues Brothers”, quando inseguito da una furibonda Carrie Fisher evoca il proprio apocalisse personale: “Ero rimasto senza benzina, avevo una gomma a terra… c'era il funerale di mia madre, era crollata la casa, c'è stato un terremoto, una tremenda inondazione, le cavallette…”. Ma raccogliendo i dati e soppesandoli come hanno fatto gli economisti della Banca d’Italia, la realtà appare sotto altra veste. La relazione annuale mette a confronto i bilanci delle famiglie dal 2016 al 2020, quindi prima della pandemia, e scopre che “il reddito medio equivalente è cresciuto del 4% spinto dall’andamento favorevole dell’economia”.

 

I pensionati non hanno perso né guadagnato, sono andati meglio i lavoratori indipendenti e i redditieri. Anche questo va in controtendenza, si è sempre detto che in questi anni gli autonomi hanno sofferto di più (è il cavallo di battaglia salviniano). Invece sono riusciti a compensare le contrazioni delle entrate da lavoro con l’aumento di quelle da capitale (compresa la riduzione degli interessi passivi) e mettendo allo sgobbo più membri del nucleo familiare. Per quel che riguarda la diseguaglianza, misurata dall’indice di Gini, è rimasta grosso modo immutata. Qui il miglioramento si è verificato lo scorso anno, come vedremo. Se consideriamo la ricchezza media netta essa è cresciuta del 2% grazie a un aumento dei risparmi e dei guadagni finanziari. La pandemia ha colpito duro, tanto che nel 2021 secondo le stime dell’Istat, il 9,4% della popolazione si trovava in condizione di povertà assoluta (1,7% in più rispetto al 2019). Tuttavia le misure varate dal governo Draghi per compensare la crisi hanno funzionato.

Gli economisti della Banca d’Italia simulano gli effetti dei provvedimenti principali decisi lo scorso anno: la riduzione dell’Irpef e l’assegno unico. Il risultato è che ”nel complesso i due interventi migliorano significativamente gli indicatori di diseguaglianza e povertà rispetto a uno scenario ipotetico basato sulla legislazione previgente: l’indice di Gini dei redditi disponibili equivalenti si riduce di mezzo punto percentuale; l’incidenza della povertà assoluta nell’intera popolazione scende di 1,5 punti percentuali, al 7.9%, recuperando quindi quasi tutto il peggioramento dei due anni precedenti; l’incidenza della povertà assoluta tra i minori diminuisce in misura più marcata, portandosi dal 14 al 10,5%”.

Calcoli, ipotesi, trucchi contabili su misure d’emergenza i cui effetti sono destinati a scomparire? Non proprio. Come tutte le simulazioni hanno bisogno di una verifica concreta; vedremo l’anno prossimo il consuntivo. Tuttavia la ripresa boom del 2021, inaspettata per intensità, spinge a pensare che il miglioramento si sia spalmato sull’insieme della popolazione, anche quella non attiva grazie alla pioggia di sostegni e sussidi. E’ questa la situazione economica degli italiani che oggi, superata la pandemia, debbono affrontare anche l’impatto della guerra. Inflazione, costi delle materie prime, minaccia sugli approvvigionamenti energetici, rialzo dei tassi d’interesse, paura che arrivi la recessione: il governatore Ignazio Visco pur ottimista non nasconde i problemi, i rischi, le difficoltà economiche e sociali. Ma anche qui, attenti a non farsi trascinare dalla disinformatia. Prendiamo il petrolio. L’embargo a quello russo che arriva per nave, ha fatto salire il prezzo del barile di greggio dell’1,68% raggiungendo i 123 dollari a Rotterdam. E tutti s’aspettano un’impennata alla pompa di benzina.

Probabile che sarà così, ma allora bisogna davvero separare il grano dalla pula, o meglio dalla speculazione. Perché oggi il petrolio in termini reali non è più caro rispetto al 1973. Sottraendo l’inflazione media americana (punto di riferimento statistico considerato il più rappresentativo) arriviamo infatti a un costo di 60 dollari, la metà del prezzo trattato sul mercato libero. Non solo: oggi per fare un chilometro si brucia meno carburante di allora. Restano aperte le grandi ferite strutturali, lo ha ricordato Visco: una occupazione femminile e giovanile, una pressione fiscale alta e squilibrata, una produttività del lavoro nel settore privato inferiore del 30% a quella tedesca, un divario tra nord e sud che aumenta anziché ridursi (Bankitalia annuncia la pubblicazione a breve di un suo studio). Ma qui entrano in campo le riforme non fatte e quelle da fare, non le cavallette di Belushi.