Euro e dollaro sono pari, quasi

Alberto Chiumento

La valuta europea scende dal maggio 2021, quella americana recupera. Negli ultimi 10 anni il cambio è sempre oscillato tra 1,10 e 1,30 dollari per euro, toccando brevemente il mimino di 1,04 dollari nel 2016

Il dollaro americano è sempre più vicino all’euro e nelle prossime settimane si potrebbe arrivare alla parità. Pochi giorni fa il valore dell’euro, che è in diminuzione da maggio 2021 quando veniva scambiato per 1,22 dollari, è sceso fino a raggiungere un minimo storico di 1,03 dollari: portando molti a pensare che le due valute possano convergere in un evento che non si registra da venti anni. Tuttavia, non c’è unanimità tra gli analisti e, anzi, molti ritengono che a breve la distanza possa ritornare a crescere.

 

Storicamente l’euro ha quasi sempre avuto un valore maggiore del dollaro. I soli momenti in cui l’euro è stato sotto la parità sono stati i suoi primi mesi di vita pubblica nel 2002 e i tre anni precedenti – dal 1999 al 2002 – quando la moneta era ancora limitata a fini contabili e pagamenti elettronici, nonostante all’emissione nel 1999 valesse intorno all’1,2 dollari. A sei anni dall’introduzione l’euro ha toccato il suo massimo di sempre, pari a 1,60 dollari nell’aprile del 2008, quando si pensava che la crisi finanziaria fosse circoscritta agli Usa. Con la successiva estensione della crisi all’Europa, il rapporto è sceso rapidamente fino a 1,3 dollari. Negli ultimi 10 anni il cambio è sempre oscillato tra 1,10 e 1,30 dollari per euro, toccando brevemente il minimo di 1,04 dollari nel 2016.

 

Una conseguenza dell’apprezzamento del dollaro registrato nell’ultimo anno è l’aumento del costo della benzina, già tenuto alto da tensioni geopolitiche. Il prezzo del petrolio greggio (da cui si ottiene la benzina) è stabilito e fatturato in dollari, che se quindi diventa più costoso rispetto all’euro rende automaticamente più care le merci ottenuti dal petrolio per gli europei. La stessa cosa si estende anche a tutte le altre commodities scambiate sui mercati internazionali perché la valuta di riferimento è sempre il dollaro.

 

Ci sono però anche effetti positivi. I beni europei diventano più convenienti per le società americane, e per tutte quelle che utilizzano il dollaro come valuta di riferimento nella loro attività. Per le aziende italiane, tipicamente rivolte all’export, è un grande vantaggio, di cui si sono già notati i primi risultati. A marzo 2022 le esportazioni verso gli stati Uniti sono aumentate del 40 per cento su base annua. Ed è possibile fare ancora meglio visto il friendshoring lanciato dall’amministrazione americana.

 

Per comprendere se davvero si raggiungerà la parità si deve guardare però alle cause dell’avvicinamento tra euro e dollaro. Il principale motivo è l’asincronia della strategia di politica monetaria delle rispettive banche centrali, che però si ritrovano ad affrontare lo stesso problema: evitare che l’inflazione si consolidi, agendo sui tassi d’interesse e sulle aspettative senza creare un rallentamento eccessivo della ripresa economica.

 

Per contrastare l’inflazione, che negli Usa ha raggiunto l’8,3 per cento ad aprile su base annua, la Federal Reserve ha già eseguito due aumenti dei tassi di interesse e in modo abbastanza aggressivo prevede di farne almeno altri quattro. A maggio, l’incremento di 0,5 punti percentuali è stato il più grosso aumento dal 2000. Anche la Banca d’Inghilterra ha alzato più volte i tassi negli ultimi mesi. Con l’inflazione annuale che ha raggiunto il 7,4 per cento ad aprile, la Banca centrale europea, invece, non ha ancora avviato alcun rialzo. La presidente Lagarde ha detto che i tassi verranno modificati solo “qualche tempo dopo” (some time after) la conclusione dell’APP, il programma di acquisto di titoli obbligazionari avviato per sostenere l’economia, che finirà entro il terzo trimestre del 2022.

 

L’idea generale era quindi che i tassi venissero toccati a settembre dopo la pausa estiva. Nelle ultime settimane però la pressione per anticipare già a luglio un aumento dei tassi è cresciuta parecchio, specialmente da esponenti avversi all’inflazione. Klaas Knot, presidente della Banca centrale olandese, ha parlato di un aumento di addirittura 0,5 punti percentuali già a luglio. Anche Isabel Schnabel, membro del Board della Bce, ha detto che un incremento dei tassi a luglio è possibile, pur non esprimendosi sull’entità prevista. La stessa Lagarde ha così aperto negli ultimi giorni alla possibilità di intervenire a luglio, ribadendo però che prima deve essere completato il programma di acquisto titoli e che ogni decisione sarà basata sui dati. La Bce non alza i tassi di interesse dal 2011.

 

Sono proprio le aspettative dell’aumento dei tassi da parte della Bce che fanno pensare a molti che la parità tra euro e dollaro non si raggiungerà. Tra questi gli analisti della banca BNP Paribas ritengono che il dollaro sia vicino al suo picco di valore e che l’imminente avvio della stretta monetaria in Europa farà divergere le due valute, senza che si sia raggiunta la parità. Stimano inoltre che il cambio salirà nei prossimi mesi a circa 1,15 dollari per euro, fino ad arrivare a 1,20 dollari a fine 2023.

 

I dati sull’inflazione sono una bussola per le decisioni della Bce, la cui prossima riunione è attesa per il 9 giugno, quando però si avranno solamente i dati flash sull’inflazione di maggio in Europa. Anche lo sviluppo dell’invasione russa in Ucraina sarà osservato da vicino, specialmente per le sue implicazioni sulle forniture di energia all’Europa.

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