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come intervenire

Oltre la lagna. Il Pnrr e quella sfida dell'efficienza che serve al sud

Dario Stefano

Per aiutare il mezzogiorno servono risorse e personale che faccia decollare i progetti europei. Appunti per correggere la rotta e non tradire i patti con l'Ue

Le audizioni svolte e la documentazione sullo stato di attuazione del Piano ci restituiscono, purtroppo, un quadro allarmante che ci chiama all’urgenza di un check non più rinviabile. E' più che reale, infatti, il rischio di una mancata attuazione del vincolo di allocazione territoriale al Mezzogiorno del 40% delle risorse. Un rischio che stride con l’ottimismo documentato nella “Prima relazione istruttoria” che, addirittura, supera l’avverbio “almeno” ostentando un 40,8%. La storia del pollo statistico di Trilussa, a tale riguardo, è sicuramente utile a chiarire la questione. La percentuale del 40,8 per cento è la media data dalle percentuali di quote a favore del Mezzogiorno di tutti i Ministeri. Infatti, prendendo ogni singolo Ministero emergono quote, in alcuni casi, imbarazzanti.

Le due più gravemente significative riguardano il Ministero dello sviluppo economico e quello del Turismo: la "quota Mezzogiorno" del primo si attesta al 24,8%, mentre quella per il Turismo al 28,6%. Parliamo cioè dei due dicasteri centrali per lo sviluppo del Mezzogiorno e di percentuali che negano in maniera sprezzante il rispetto del vincolo di destinazione. Un vincolo che per entrambi i ministeri sarà impossibile da ripristinare, considerato che il Ministero del Turismo ha già messo a bando tutte le risorse e il MISE ha allocato il 74% delle risorse complessive del Pnrr in un unico bando,

Transizione 4.0 senza alcuna riserva per il Sud. È quasi superfluo sottolineare che si tratta dei due dicasteri a chiara trazione leghista. Ci si potrebbe anche ironizzare su, se non fosse che la partita in gioco è seria, molto di più rispetto a uno scontro tra partiti. Il Pnrr ha il vincolo di ricucire pezzi di territorio realmente distanti da standard e diritti e, come classe politica, abbiamo preso l’impegno di tirare fuori il Paese da una crisi economica che ha espresso anche devastanti effetti a livello sociale. Una crisi che ha acuito e inasprito lo spread di servizi e l’accesso ai diritti che da troppo tempo distingue cittadini di serie A e cittadini di serie B.

 

A un anno ormai dal varo del programma definitivo e alla luce di queste criticità, è necessario ora che il governo avvii un intervento di messa a punto dello stesso. Lo stato deve assumere la funzione, e la responsabilità, di operare efficacemente per la riduzione dei divari dei servizi e delle infrastrutture, materiali e immateriali, che dividono l’Italia. Già un anno fa, al presidente Draghi, intervenendo durante la votazione del Piano di Ripresa e Resilienza in Senato, avevo suonato un campanello d’allarme, perché quell’“almeno il 40 per cento delle risorse destinate” rischiava di scontrarsi con l’incapacità dei territori di partecipare a un meccanismo di gara rispetto al quale sono decisamente fuori allenamento. E non per scelta.

Basta scorrere la graduatoria del bando per gli asili nido di settembre (dove i Comuni più grandi e meglio attrezzati in termini di cofinanziamento e strutture hanno fagocitato i posti dei Comuni più piccoli e svantaggiati, per lo più del Mezzogiorno) o gli esiti del più recente bando sempre sugli asili nido, per il quale sono giunte richieste solo per la metà delle risorse disponibili, per avere le prime prove. Il motivo è la difficoltà degli Enti del Mezzogiorno nell’impegnare personale – che manca o scarseggia gravemente – per la progettazione, le spese di gestione a carattere permanente e per la concomitanza con altri bandi. È urgente, insomma, mettere in sicurezza quella percentuale dell’almeno il 40 per cento dei fondi al Mezzogiorno per evitare che le risorse scivolino nel trade off tra efficienza allocativa ed equità perequativa territoriale. E cioè che le risorse continuino a essere assegnate a chi è maggiormente preparato a spenderle, a scapito di chi invece ne avrebbe maggiormente bisogno al fine di ridurre le disuguaglianze territoriali.

Per fare questo occorrono risorse aggiuntive utili a garantire ai Comuni – che sono soprattutto quelli medio-piccoli, del Mezzogiorno e delle aree interne – le spese di gestione che dovranno poi sostenere a regime e la presenza di personale qualificato. Occorre anche avviare un ragionamento su un possibile intervento sostitutivo dello Stato per i Comuni che conservano maggiori difficoltà. In tale ambito, è certamente positiva l’attivazione della piattaforma di assistenza tecnica “Capacity Italy”, il network di esperti in tutte le discipline chiave. Ma da sola non basta. C’è l’urgenza di restituire al Piano nazionale meccanismi attuativi che tutelino il raggiungimento degli obiettivi trasversali. Per non tradire l’impegno con l’Europa e, soprattutto, quello che ci lega al Sud e alla sua comunità.

Dario Stefano 
senatore del Pd

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