(Foto di Ansa) 

A caccia del Leone

Donnet vince ma ora i numeri rilanciano il piano B su Generali. La battaglia rinviata

Stefano Cingolani

L’ad è stato riconfermato con il 55,9%. Caltagirone & Del Vecchio sconfitti ma sopra le attese. Ecco le contromosse ma rimane il dubbio: Intesa che fa?

 

Il mercato ha votato e non solo i soliti noti o un gruppo di vecchi plutocrati, ma decine di migliaia di soci i quali detengono il 70,73 per cento del capitale delle Assicurazioni Generali, la quota più alta presente in assemblea (sia pur a distanza) nella lunga storia della compagnia. Ha vinto la lista del cda uscente con il 55,992 per cento, quindi Philippe Donnet è stato confermato amministratore delegato per la terza volta e Andrea Sironi diventa presidente al posto di Gabriele Galateri. Un risultato netto, anche se inferiore alle previsioni della vigilia. La lista che fa capo a Caltagirone, e che  aveva Claudio Costamagna candidato presidente e Luciano Cirinà come ad, ha ottenuto il 41,64 per cento, più delle attese perché sulla carta le veniva attribuito circa il 30 per cento. 

  
A favore, a parte Caltagirone, Del Vecchio, Benetton, la Fondazione Crt e una serie di industriali (si è scritto di Seragnoli, Minozzi, Lavazza). Determinanti, per superare il 50 per cento, sono state due operazioni contestate dalla minoranza: il prestito titolo del 4,43 per cento da parte della Mediobanca che ha così incrementato la sua percentuale fino al 17,19 per cento e la quota dell’1,44 per cento del gruppo De Agostini che ha messo in vendita le proprie azioni, conservando i diritti di voto proprio in vista dell’assemblea. Senza questi due “giochi di prestigio” come li chiamano i critici, la maggioranza sarebbe stata dello 0,12 per cento. E’ facile pensare alla lunga scia di recriminazioni. E’ stato eletto eletto un consiglio di amministrazione composto da 13 membri,  che ha ottenuto il 57,7 per cento dei consensi perché ha raccolto anche l’1,92 per cento di Assogestioni.

  

L’opposizione ha tre seggi: Francesco Caltagirone, Flavio Cattaneo, Marina Brogi.  Gli altri, a parte Sironi e Donnet, sono Clemente Rebecchini espresso da Mediobanca, Diva Moriani, Luisa Torchia, Alessia Falsarone, Lorenzo Pellicioli (ex De Agostini), Clara Furse, Umberto Malesci, Antonella Mei-Pochtler. Più della metà sono donne, gli indipendenti arrivano al 77 per cento, dati mai così alti nella storia del gruppo, ha sottolineato Donnet rimarcando l’altra novità, perché per la prima volta una delle liste è stata presentata dal cda uscente: “Continueremo a perseguire la crescita sostenibile e la creazione di valore per tutti gli stakeholder e un dividendo che cresce ogni anno”, ha promesso. Non sarà facile, non solo per una congiuntura negativa, ma perché la minoranza non molla. “Fin quando lo riterrò ragionevole, continuerò a operare perché il cambiamento avvenga” ha dichiarato Caltagirone il quale ha sottolineato che “tutti gli italiani sono con noi senza eccezioni e sono tutti soci stabili. Sono mancati i voti dei soci stranieri che credo non abbiano pienamente percepito quanto sia necessario il cambiamento per una società forte a lungo termine che deve rimontare le posizioni perse negli ultimi venti anni”. Caltagirone si è detto convinto che “un consiglio di amministrazione eletto dal 55 per cento dei voti non potrà non tenere conto dell’altro 45 per cento”.

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Sul Leone di Trieste pende una spada di Damocle, anzi potremmo chiamarla di Leonardo, alias Del Vecchio. Il piano B infatti si sposta dalla Torre Hadid a Piazzetta Cuccia: siamo sempre a Milano e dal quartier generale della compagnia alla storica sede della banca d’affari ci sono circa tre chilometri a piedi, ma la distanza finanziaria è ben minore di quella topografica. Il maggior azionista è di gran lunga Del Vecchio con 19,4 per cento di azioni, poi viene Blackrock con il 4,1 per cento, Mediolanum con il 3,4 per cento, ma Caltagirone mettendo insieme le azioni (circa il 3 per cento) e le opzioni (il 2,17 per cento) diventa il socio numero due. L’asse tra il patron di Luxottica e il costruttore romano, due tra i più liquidi imprenditori nazionali, si può saldare ancora a Milano dove entrambi hanno consistenti interessi immobiliari, e proprio dentro Mediobanca. Del Vecchio è autorizzato dalla Bce a detenere fino al 20 per cento, quindi è già al limite e ha chiesto il permesso di salire, a quel che sappiamo finora non ha ricevuto risposta. Anche se non c’è nessun patto, tra i due principali azionisti esiste un comun sentire che può diventare strategia parallela. E conquistando Mediobanca prenderebbero direttamente e indirettamente anche il controllo delle Generali.  La partita, dunque, non si chiude con l’assemblea di ieri. Da tempo circola in Piazza degli Affari l’ipotesi che Mediobanca possa essere una pedina di scambio, cedendone il controllo a una grande banca generalista (Unicredit che finanzia Del Vecchio e non ha una merchant bank?) e girando il 12,79 per cento del Leone a Del Vecchio e Caltagirone. Una mossa funambolica, però in questo modo, magari mettendo in campo anche altri soci “di sistema” come Banca Intesa, le Generali avrebbero un solido azionariato  a prova di scalata. Perché se è vero che la gestione Donnet ha raddoppiato gli utili, la capitalizzazione della compagnia resta  inferiore alle concorrenti: 30 miliardi di euro rispetto ai 60 della francese Axa, ai 66 della svizzera Zurich, agli 88 della tedesca Allianz.