Foto: Ansa/Claudio Peri

Un Leone americano. Perché la competizione fa bene a Generali

Carlo Alberto Carnevale Maffè

La corsa per il controllo della compagnia triestina produce effetti positivi per i suoi stakeholder e più in generale per l’economia italiana ed europea

Un Leone americano. La battaglia per il controllo di Assicurazioni Generali è certamente uno scontro di potere e una lotta all’ultimo sangue per il presidio di una fondamentale cassaforte del capitalismo nazionale ed europeo. Ma, per la prima volta in Italia, è anche uno spettacolare esempio di contendibilità in stile anglosassone della leadership aziendale, in campo aperto e non nel chiuso del salotto buono; è un confronto svolto con le regole del mercato e con le armi della corporate governance, e non (almeno prevalentemente…) con gli intrighi di palazzo.

Comunque vada a finire l’inedita tenzone a cielo aperto tra il polo di Mediobanca e gli sfidanti aggregati da Caltagirone e Del Vecchio, la vicenda di Generali ha ottenuto tre effetti positivi per gli stakeholder della compagnia triestina e, più in generale, per l’economia italiana ed europea.

Il primo effetto è finanziario: il bilancio 2021 si è chiuso con un risultato operativo di quasi sei miliardi, il più alto di sempre, e un utile netto in crescita del 63 per cento rispetto all’anno precedente. Il management uscente ha dimostrato con i fatti il proprio valore, ottenendo giudizi lusinghieri dal mercato e confermando gli ambiziosi target del piano industriale al 2024, nonostante l’elevato grado di incertezza che caratterizza lo scenario attuale. La squadra che si presenta all’assemblea, in programma il 29 aprile, per chiedere il rinnovo dell’incarico a Philippe Donnet e per portare alla presidenza una candidatura di assoluto prestigio come Andrea Sironi, ha dalla sua parte la forza dei numeri. In coerenza con quanto evidenziano i modelli empirici e la letteratura economica, la contendibilità di una public company stimola la performance del management, e alla fine ne beneficiano tutti gli stakeholder. Ne prendano nota i tanti statalisti e dirigisti che invocano l’estensione del golden power politico per ogni aziendina definita “strategica” dal rispettivo parlamentare del collegio elettorale di riferimento. Se vorrà prevalere nelle preferenze degli azionisti, la cordata alternativa dovrà mettere sul tavolo un piano industriale ancora più attrattivo e convincente, e dovrà dimostrare di saper trovare un giusto equilibrio tra continuità e innovazione.

Il secondo effetto che può essere rilevato sembra invero supportare quest’ultima prospettiva: la lista di candidati alla dirigenza della cordata Caltagirone propone infatti al ruolo di ceo Luciano Cirinà, un triestino con lunga esperienza da top manager internazionale in Generali. Caltagirone e Del Vecchio non giocano quindi la carta di un papa straniero per reggere il libro di San Marco tra le zampe del Leone, e lo affiancano, per il ruolo di presidente, a un cardinale di lungo corso della finanza italiana come Claudio Costamagna, insieme a una lista di undici indipendenti di spessore, formata da sei donne e sette uomini. Altro risultato importante ottenuto dal confronto di mercato: la struttura della governance della più grande compagnia assicurativa italiana si confermerà, comunque si concluda la vicenda, ispirata ai principi di adeguatezza, preparazione e diversità del management che troppo spesso vengono ignorati negli organi di governo societario esposti alla spartizione politica.

L’ultimo effetto ottenuto è quello di dimostrare agli occhi degli investitori internazionali che l’Italia non è più completamente prigioniera del capitalismo relazionale, terreno truccato da scatole cinesi costruite con la complicità del vecchio sistema bancario colluso con capitani tutt’altro che coraggiosi. Oggi anche i grandi vecchi dell’imprenditorialità nazionale, che forse in altri tempi avrebbero preferito la strada delle congiure di palazzo, devono giocare con le regole del mercato, alla luce del sole. Le guerre sulla governance, nel moderno capitalismo delle regole, sono incruente e selezionano il merito. E chissà poi se gli americani sanno che significa Pax tibi, Marce.

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