La Cina è sempre più sotto pressione sui mercati per la sua vicinanza alla Russia

Mariarosaria Marchesano

Gli investitori si chiedono fino a che punto Pechino è disposta a spingersi nell’appoggio all’amico Putin

Pechino offrirà aiuto militare alla Russia se dovesse chiederglielo? E fino a che punto la Cina è disposta a spingersi nell’appoggio all’amico Putin? È ciò che si chiedono gli investitori temendo che l’eventuale reazione degli Stati Uniti a un simile scenario possa essere quella di colpire, anche con sanzioni, le imprese cinesi che operano sui mercati globali

  
Ieri mattina le azioni cinesi quotate a Hong Kong hanno vissuto il loro giorno peggiore dalla grande crisi finanziaria: l’indice Hang Seng China Enterpises ha chiuso in ribasso del 7,2 per cento, il calo più grande da novembre 2008, mentre l’indice dei titoli tecnologici (Hang Sang Tech) è crollato dell’11 per cento, il calo più grande mai registrato da quando l’indicatore è stato lanciato a luglio del 2020. A Wall Street il Dragon Index ha perso il 10 per cento in due giorni: non era mai accaduto in 22 anni. Per quanto a questi crolli abbia contribuito una serie di fattori, comprese le prospettive di crescita dell’economia cinese meno rosee del previsto, alcune restrizioni normative delle autorità di borsa americane  e il lockdown di Shenzen – snodo strategico dei traffici commerciali – per il rinvigorirsi del Covid, i mercati stanno cominciando a percepire in modo crescente il rischio geopolitico della vicinanza tra Russia e Cina. 

   
L’agenzia Bloomberg ha ricostruito che l’ondata di vendite di lunedì sulle borse asiatiche e su quella newyorkese si è scatenata dopo la diffusione della notizia dell’esistenza di un rapporto secondo cui la Russia avrebbe chiesto alla Cina assistenza militare per la guerra in Ucraina. Anche se le autorità di Pechino hanno negato l’esistenza di tale documento (come invece sostenuto dal Financial Times) gli investitori temono che l’apertura della Cina a Vladimir Putin possa portare a una reazione globale contro le aziende cinesi. Su questo punto sono attesi anche gli esiti del confronto tra Stati Uniti e Cina che si è svolto a Roma ieri.
 “Finora abbiamo vissuto la fase in cui le sanzioni economiche alla Russia hanno avuto un impatto quasi nullo per gli Stati Uniti e consistente per l’Europa – dice al Foglio Alessandro Tentori, economista e chief investment officer di Axa Im –. Se gli Stati Uniti cambiassero approccio intraprendendo una nuova guerra commerciale con la Cina dopo quella dei dazi promossa da Trump, ci sarebbero forti ripercussioni non solo sull’economia americana e sulle elezioni di mid term, ma sull’intera economia globale. L’America, se gioca a questo gioco, rischia di fermarsi. Perciò sono scettico sul fatto che questo scenario possa alla fine concretizzarsi, anche se è del tutto normale che gli investitori lo valutino come un rischio potenziale”.

 

Secondo Antonio Cesarano, capo delle strategie globali di Intermonte Sim, “la Cina potrebbe beneficiare del sostegno a Putin approvvigionandosi di materie prime dalla Russia sotto costo, ma rimane il rischio che l’occidente come contromossa potrebbe esercitare pressioni attraverso un’escalation di sanzioni che alimenterebbe un grande scontro commerciale globale. Questo sarebbe tale da penalizzare maggiormente l’economia della Cina perché a rallentare sarebbero soprattutto le principali aree di sbocco del suo export”.

 

La domanda è se la Cina se la sente di assumersi questo rischio considerando che, anche per le scelte fatte dal governo di Pechino in settori come l’immobiliare e l’hi-tech, si sono create determinate condizioni che stanno rendendo la sua crescita meno “prospera” di quanto si pensava, con conseguenze come il deprezzamento dello yuan rispetto al dollaro, il deflusso di capitali e la minore stabilità dell’inflazione che è sempre stata su livelli storicamente contenuti in controtendenza con il resto del mondo.
 

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