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Il collasso di Mosca. Le sanzioni vere pagano

Stefano Cingolani

La Russia ha bisogno dell’Ue ben più di quanto l’Ue abbia bisogno della Russia. Si sta sgretolando l’intera base finanziaria del Cremlino. La Banca centrale presieduta da Elvira Nabiullina ammette che “le condizioni sono cambiate drammaticamente”

Il collasso del rublo, il drammatico aumento dei tassi  al 20 per cento, lo sgretolarsi della Sberbank che sta diventando la Lehman Brothers russa. E la guerra finanziaria lanciata dall’occidente in risposta all’invasione dell’Ucraina è appena cominciata. La Bce ha avvisato ieri che le sussidiarie della prima banca di stato sono sull’orlo del fallimento in Austria, Croazia e Slovenia. Il Single Resolution Board che gestisce la risoluzione delle banche nella Ue ha sospeso i pagamenti. Non erano colpite direttamente dalle sanzioni, ma il contagio finanziario si diffonde alla velocità di un virus, anche se finora non è scattato il blocco di Swift.


Oltre a Sberbank anche Vtb, la seconda banca di stato, vacilla: insieme detengono oltre la metà delle attività creditizie del paese. La Vtb ha una filiale a Francoforte e una banca d’investimento nella City di Londra. Trema anche l’austriaca Raiffeisen, un terzo dei cui utili deriva dai suoi affari con Mosca: le azioni sono cadute del 50 per cento nelle scorse tre settimane, del 18 per cento solo ieri. Il mercato sta punendo anche altre banche esposte verso la Russia come la francese Société Générale (attraverso la controllata Rosbank) e le italiane Unicredit e Intesa Sanpaolo. Secondo la Banca dei regolamenti internazionali, prestiti e finanziamenti bancari occidentali in Russia ammontano a 121 miliardi di dollari, poco meno della metà è concentrata in Italia (25,3 miliardi) e in Francia (25,2 miliardi), poi viene l’Austria con 17,5 miliardi. Le banche americane sono più al sicuro con 14,7 miliardi, quelle tedesche hanno appena 8 miliardi.


L’intera base finanziaria della Russia si sta sgretolando. La Banca centrale presieduta da Elvira Nabiullina ammette che “le condizioni sono cambiate drammaticamente”, del resto le code ai bancomat in tutto il paese stanno lì a dimostrarlo fisicamente. La stessa Banca centrale è sotto tiro, gli Stati Uniti hanno bloccato la possibilità di ricorrere alle riserve per stabilizzare il rublo. La Russia ha accumulato 628 miliardi di dollari, con un debito estero di 478 miliardi di dollari. Il flusso di capitali dall’estero è stato di 33 miliardi nel 2021. Negli ultimi anni la Banca centrale ha ridotto il peso del dollaro a favore dell’euro e in parte minore dello yuan. Inoltre possiede 2.299 tonnellate d’oro (al quinto posto nel mondo dopo Stati Uniti, Germania, Italia e Francia). Una parte potrebbe essere venduta, ma nessuno in occidente l’accetterebbe (nemmeno più la Svizzera). Non resta che la Cina, vedremo se si spingerà a tanto. Finché venderà petrolio e gas, in Russia continuerà ad arrivare valuta (31 miliardi di dollari l’anno scorso su esportazioni totali di 57 miliardi) a meno che la guerra finanziaria non diventi anche guerra energetica. Finora è stata esclusa dalle sanzioni Gazprombank, terza banca pubblica e principale veicolo dei pagamenti esteri per petrolio e gas, ma non è chiaro se resterà fuori dal blocco di Swift.

 

 Finanziariamente la Russia è in ginocchio. Non era difficile da pronosticare, anche se è prevalso nel circo politico-mediatico il mito della fortezza invincibile. La ricaduta delle sanzioni sarà pesante per tutti, tuttavia l’Unione europea ha bisogno della Russia molto meno di quanto la Russia abbia bisogno della Ue. Mosca è il quinto partner dell’Unione, ma gli scambi sono appena il 4,8 per cento di quelli totali, al contrario la Ue è il primo partner della Russia con una quota del 37,3 per cento. L’arma economica più potente resta quella energetica, naturalmente: l’80 per cento del gas arriva in Europa, anche se non tutti i paesi sono esposti allo stesso modo. Germania e Italia stanno nettamente peggio insieme all’est europeo. In Gran Bretagna e Olanda la quota è minore, la Francia si alimenta dalla Spagna la quale ricorre ampiamente al Gnl (gas naturale liquefatto) grazie ai suoi numerosi rigassificatori. Chiudere i rubinetti a ovest sarebbe disastroso per Mosca che non è in grado di compensare il buco gigantesco con l’export verso la Cina. Il grande gasdotto siberiano doveva entrare in funzione da tempo, ma s’è inceppato, ci vorranno ancora anni

 

Si discute meno sulla vulnerabilità digitale, eppure può diventare un fattore chiave. I processori, anche se una quota sempre maggiore viene disegnata in Russia, sono costruiti per lo più dai grandi gruppi coreani e taiwanesi (i produttori russi coprono appena l’1 per cento del mercato). L’infrastruttura della telefonia mobile dipende da Cisco, Ericsson e Nokia. Sanzioni modello Huawei avrebbero un impatto disastroso né sarebbe possibile compensarle in tempi brevi ricorrendo all’aiuto della Cina. Ciò vale anche per internet. A Putin non basta la censura e sta cercando di costruire la propria rete nazionale, ma finora non c’è riuscito. Yandex e VK, i maggiori gruppi russi dei social media, dipendono dagli americani Google, Facebook, Instagram oltre che dai cinesi TikTok e Likee. E’ quella che gli esperti chiamano la guerra dello stack, quell’insieme di tecnologie e servizi, dai chip ai sistemi operativi alla rete, sul quale poggia il mondo digitale.

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