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Rebus inflazione: ecco perché è cosi difficile misurarla

Lorenzo Borga

L’inflazione non è uguale per tutti. Le fasce più deboli sono storicamente le più colpite, in quanto non possono ritardare gli acquisti attraverso il risparmio e tengono molto spesso il proprio piccolo patrimonio in cash, i più aggrediti dalla crescita dei prezzi

L’inflazione è ormai passata dall’essere un argomento relegato ai seminari degli economisti intenti a interrogarsi sulla sua scomparsa fiino a conquistarsi le prime pagine dei giornali. Anche la Generazione Z, che mai aveva vissuto sulla propria pelle il rialzo deciso dei prezzi, ha dovuto farci i conti.

 

Eppure c’è chi la mette in dubbio. I fronti sono due: chi ritiene che l’inflazione sia in realtà decisamente più elevata di quanto misurato oggi dagli istituti statistici, secondo i quali quindi le mosse delle banche centrali non possono che essere considerate tardive e insufficienti. In fondo – questo è il loro pensiero – se i banchieri centrali sono nominati dalla politica, così come i direttori degli uffici di statistica (in Italia dal Presidente della Repubblica su proposta del premier, in Europa dalla Commissione), i dati potrebbero essere falsificati (magari non prendendo in considerazione alcuni elementi) per permettere il mantenimento degli aiuti all’economia che così bene fanno anche al deficit pubblico.

 

Una versione estrema dell’ipotesi di dominanza fiscale, per cui le banche centrali sarebbero succubi dei desideri dei governi, sempre molto attenti a mantenere il proprio consenso politico attraverso politiche fiscali. Ma d’altra parte c’è chi invece giudica il rialzo dei prezzi sovrastimato, criticando le contromisure prese in particolare dalla Federal Reserve americana. Insomma niente di nuovo: se i dati economici non piacciono, c’è chi propone di cambiarli a proprio piacimento. In Italia ci aveva già provato l’ex ministro Tremonti, nelle sue ripetute critiche all’Istat sui dati della disoccupazione e della povertà.

 

C’è un fondo di verità in queste critiche: misurare la variazione dei prezzi non è affatto facile. Prima di tutto per i cambiamenti che avvengono nella qualità dei prodotti. Pensiamo alla tecnologia di consumo, le variazioni di prezzo dovute alle innumerevoli innovazioni ci dicono qualcosa sull’inflazione, oppure sono legate più che altro ai passi in avanti della tecnologia? Oppure, al posto dei prezzi, a variare potrebbe essere la quantità dei prodotti offerti (la cosiddetta shrinkflation, per cui le aziende per rispondere a maggiori costi di produzione invece di alzare il prezzo riducono la quantità contenuta nelle confezioni). O, ancora, i panieri dei beni potrebbero essere inadatti e non rappresentare più le tendenze di consumo.

 

Tanto che Istat ha appena aggiornato i prodotti di cui tiene conto, inserendo alcune spese che con la pandemia sono diventate più frequenti: tamponi, test Covid fai da te, download e streaming di film e musica, tappetini da ginnastica e sedie da pc. È vero tuttavia che ancora non tutto è compreso, come sostengono alcuni critici: la Bce solo a luglio 2021 ha deciso di includere i prezzi delle case di abitazione nel suo indice di riferimento, un cambiamento che però richiederà alcuni anni per essere messo in pratica.

 

Ma il vero motivo di tanto dibattito sull’inflazione è un altro. Mentre il tasso di disoccupazione o – ancor più – il prodotto interno lordo sono statistiche che non possiamo saggiare con la nostra esperienza personale, tutti noi andiamo al supermercato a fare la spesa e paghiamo le bollette. E potendo valutare ogni giorno decine se non centinaia di prezzi qualcuno potrebbe cadere nella tentazione di trarre conclusioni statistiche dalla propria esperienza aneddotica. Un errore da evitare, sempre e ancor di più per quanto riguarda i prezzi. L’inflazione infatti non è uguale per tutti. Le fasce più deboli sono storicamente le più colpite, in quanto non possono ritardare gli acquisti attraverso il risparmio e tengono molto spesso il proprio piccolo patrimonio in cash o nei conti correnti, i più aggrediti dalla crescita dei prezzi.

 

Ma non è solo il proprio reddito a determinare l’inflazione percepita: dipende anche dalle proprie abitudini di consumo. Come spiega il think tank Bruegel nell’area Euro i prezzi dei voli domestici sono aumentati di ben l’8,4 per cento, mentre quelli internazionali di solo il 3,7. Altro esempio: per i più appassionati alle news il prezzo dei giornali è cresciuto del 4,3, mentre per chi ricerca interviste e gossip i magazine si sono apprezzati della metà. Con l’inflazione, insomma, non c’è da scherzarci.

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