i lati oscuri del bitcoin

Crypto, abbiamo un problema. Le truffe arrivano a livelli record

Lorenzo Borga

L'aumento delle frodi legate al mondo dei bitcoin ha fatto correre ai ripari alcuni stati europei. In Italia si è mossa la Consob ma serve un intervento legislativo

Le truffe legate alle valute crittografate hanno raggiunto l’anno scorso i 14 miliardi di dollari, secondo Chainalysis. Il punto di forza della blockchain che – almeno secondo i crypto-entusiasti – ne farà la fortuna, ossia l’assenza di un intermediario che regoli le transazioni tra gli operatori, sta mostrando tutta la sua fragilità. Per fortuna le truffe stanno crescendo a un passo minore rispetto al boom delle transazioni decentralizzate – sempre per Chainalysis nel 2017 il 3,37 per cento dei pagamenti erano coinvolti in truffe, l’anno scorso solo lo 0,15 – ma i numeri in valore assoluto continuano a salire seguendo la cavalcata delle crypto. Ampliando la platea di ignari risparmiatori che potrebbero incorrervi, in particolare se a Bitcoin & Co. si avvicinano tutti, anche i meno esperti.

Alcuni stati europei stanno prendendo le prime contromisure. A partire da febbraio, la commissione di vigilanza sui mercati finanziari spagnola richiederà a influencer e società di notificare almeno 10 giorni prima le campagne pubblicitarie sui crypto asset. Saranno obbligati a farlo gli influencer spagnoli che hanno un pubblico di almeno 100 mila follower e che saranno pagati per promuovere prodotti crypto. Non tutte le pubblicità sulle valute decentralizzate pubblicate sui social network sono ovviamente truffe, ma è un dato di fatto che molte delle crypto-frodi vengono veicolate su Instagram, Facebook e YouTube. E non pensiate che le truffe provengano solo da influencer di seconda o terza categoria intenti ad arrotondare: la stessa Kim Kardashian, una che siede comodamente nella top ten degli account Instagram più seguiti al mondo, è stata denunciata la scorsa settimana per una presunta frode sul token EthereumMax. L’accusa è presto detta: Kardashian, assieme ad altri vip statunitensi tra campioni di boxer ed ex giocatori Nba, avrebbe promosso per soldi il token per poi, una volta che i follower avevano abboccato e investito, rivendere la propria quota, facendo crollare il prezzo e lasciando i fan in braghe di tela. Niente di nuovo: gli americani la chiamano la truffa “pump and dump”, pompa e sgonfia. Per capirci, è la frode messa in piedi da Jordan Belfort, interpretato da Leonardo DiCaprio in The Wolf of Wall Street.

Oltre che i social network, le pubblicità crypto hanno raggiunto anche la serie A. Inter, Roma e Lazio hanno stampato sulle proprie maglie ufficiali brand attivi nel business. E’ stato in particolare Binance, sponsor della Lazio, ad attirare le maggiori attenzioni. Si tratta del più importante exchange al mondo, ma questo non è bastato a evitare di incappare in una class action presentata al Tribunale di Milano per un problema informatico che ha impedito a un gruppo di investitori italiani di disfarsi di alcuni future su cryptovalute (speculazione su speculazione) dopo che un tweet del solito Elon Musk ne stava facendo crollare a picco il valore.

E la Consob in Italia che fa? Secondo il suo ultimo rapporto nel 2021, in Italia è aumentato l’interesse verso le cripto-attività, come mostrano i numeri delle ricerche su Google. Ma l’autorità di vigilanza italiana non sembra avere oggi i poteri per imporre un obbligo simile a quello spagnolo senza un intervento legislativo. Intervento che invece è arrivato per bloccare l’offerta di servizi finanziari senza autorizzazione: grazie al decreto “Crescita” del 2019 la Consob ha bloccato fino a oggi 605 siti che offrivano abusivamente servizi agli investitori, tra cui, ça va sans dire, anche numerosi portali basati su blockchain tra cui lo stesso Binance. Ma chi segue da vicino la vigilanza dice al Foglio che è in corso un ragionamento anche sulla pubblicità ingannevole e sulle truffe veicolate tramite social. Perché le guerre contro le crypto-truffe non si possono vincere con le armi spuntate.

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