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Editoriali

Cambio di passo vs ortodossia. Le strategie opposte di Bce e Fed

Redazione

Niente stretta monetaria, dice la Banca centrale europea. Quella degli Usa invece è pronta a tornare al rigore  

Christine Lagarde lo ha ripetuto oggi: “Non è il momento di pensare a un aumento dei tassi. Una stretta monetaria sarebbe non solo prematura ma dannosa per la ripresa”. E vista anche la sede già rigorista dove ha parlato, il Frankfurt European Banking Congress 2021, la presidente della Bce ha anche aggiunto che i tassi dell’euro rimarranno tra zero e meno 0,5 per tutto il 2022. “Anche dopo la prevista fine dell’emergenza pandemica sarà importante che la politica monetaria, compresa l’opportuna calibrazione degli acquisti di asset, sostenga la ripresa e il ritorno sostenibile dell’inflazione al nostro target del 2 per cento. Annunceremo le nostre intenzioni in materia a dicembre”. Le ha fatto eco il commissario agli Affari economici di Bruxelles, Paolo Gentiloni: “Non chiediamo solo un rimbalzo, ma un cambio di passo. Dobbiamo evitare la tentazione di un ritiro prematuro delle politiche espansive. Non è il momento di abbandonarle, ma di renderle più mirate”.

 

In questo momento, con i capifila del rigore – Austria, Germania, Olanda – investiti drammaticamente dalla pandemia, anche l’agenda economica europea è in mano al fronte moderato, cioè Francia e Italia. Temporalmente coincide con l’anno, il 2022, in cui si discuterà il nuovo Patto di stabilità. Ma coincide anche con il momento nel quale gli Usa dovranno sciogliere uno dei molti dilemmi di Joe Biden: la Casa Bianca da una parte con i suoi piani di sostegno a famiglie, contribuenti e infrastrutture, e la Federal Reserve dall’altra, che ha iniziato a ridurre gli acquisti di titoli federali e, benché non abbia annunciato aumenti di tassi, tiene il costo del denaro a un livello di oltre mezzo punto superiore all’Europa. Neanche la possibile candidata a sostituire Jerome Powell alla Fed, la democratica Lael Brainard, è accreditata di minore ortodossia monetaria. Questo ha già prodotto il deprezzamento dell’euro sul dollaro, ai massimi dal 2020, non una manna per l’export americano. Intanto, nonostante la stretta, l’inflazione è alta su entrambe le sponde dell’Atlantico, ma ben di più negli Usa.

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