Narendra Modi, il premier indiano (LaPresse) 

Dopo la Cop26

Sul clima, il realismo dell'India sfida l'ipocrisia dei più ricchi

Chicco Testa

Scandalizzarsi perché il premier Modi abbia chiesto un rallentamento dall’uscita dal carbone, da cui si produce ancora il 40 per cento dell'energia elettrica mondiale, è ridicolo. Pensare di sostituire il tutto in tempi rapidi solo con l’ausilio delle rinnovabili è una pura illusione

Ci sono le emissioni climalteranti di ogni anno e ci sono quelle che si sono accumulate in atmosfera nei secoli passati. Per quanto riguarda le prime, la Cina ne detiene il record e l’India sta rapidamente scalando la classifica. Ma per quanto riguarda le seconde, più del 50 per cento di quelle accumulate appartengono a Usa, Europa e Giappone che insieme fanno il 17 per cento della popolazione mondiale. Le hanno emesse dalla Rivoluzione industriale in poi, alimentando le loro economie e diventando, grazie ai combustibili fossili,  le aree più ricche del mondo con più del 50 per cento del pil mondiale. Oggi le loro economie si stanno “disaccoppiando”, cioè sono in grado di crescere anche diminuendo le emissioni totali. Ma non è questo il caso dell’India e, per certi versi, anche della Cina, entrambe ancora sul lato crescente della curva del rapporto fra pil ed emissioni totali. Un indiano dispone di un reddito che è la metà delle media mondiale, un settimo di quello europeo e un decimo di quello americano. E questo vale anche per altri paesi asiatici e africani.

 

Ci sono poi altri due fattori. I consumi energetici di questi paesi sono ancora una frazione di quelli occidentali. In Africa quasi un miliardo di persone è privo di energia elettrica e tutte queste aree del mondo hanno un dannato bisogno di energia. Ugualmente, è del tutto scontato che paesi con più di un miliardo di persone abbiano emissioni maggiori di altri molto più piccoli. Ma criteri minimi di giustizia esigono che il dato da prendere in considerazione sia quello delle emissioni pro capite. E qui casca l’asino, perché se parliamo per esempio dell’India, parliamo di un ordine di grandezza inferiore rispetto a quello americano. Se poi si guarda agli scenari dell’Agenzia internazionale dell’energia, che prevedono una forte elettrificazione dei consumi  (auto elettriche obbligatorie dal 2035!) per raggiungere le zero emissioni nel 2050, allora la quantità di energia elettrica che occorrerebbe produrre raggiunge cifre astronomiche. Scandalizzarsi perché l’India abbia chiesto un rallentamento dall’uscita dal carbone è ridicolo. Il 40 per cento dell’energia elettrica nel mondo si produce ancora con il carbone. Anche negli Stati Uniti, dove rappresenta il  25 per cento della produzione elettrica e, seppur in diminuzione, pure in Germania, dove è la prima fonte utilizzata.

 

Pensare di sostituire il tutto in tempi rapidi solo con l’ausilio delle rinnovabili è una pura illusione. Si può forse fare nelle aree sviluppate del mondo, ma solo con l’ausilio del gas e del nucleare che forniscono energia elettrica in grandi quantità e in modo  stabile, senza le variazioni  giornaliere e stagionali che presentano le rinnovabili. Ma nell’ex terzo mondo questo comporterebbe  investimenti rispetto ai quali i 100 miliardi  di dollari promessi (?) dai paesi ricchi sono un’inezia. Che un certo ambientalismo impegnato a predicare giustizia sociale non veda questo dato e che non lo veda una sinistra completamente dimentica delle sue aspirazioni terzomondiste è solo un segno della completa mancanza di realismo che li avvolge. Quando poi si rifiuta ogni altra tecnologia utile alla riduzione dei  gas serra  che non siano le rinnovabili  e si vorrebbero mettere contemporaneamente al bando petrolio, gas e nucleare è il minimo buon senso che risulta assente. A Kerry i giornalisti americani hanno ripetutamente chiesto come mai gli Stati Uniti si affannino  a chiedere all’Opec di produrre più petrolio e a Glasgow si presentino come i paladini del green deal. Alla fine pare abbia risposto – sintetizzo e traduco –  “perchè non vogliamo perdere le  elezioni in America, cosa che succederebbe se dessi retta a Ocasio-Cortez, che se poi torna Trump o chi per lui, ve lo scordate  il green deal”. 

 

Il leader indiano ha avuto il coraggio di dire le cose con il necessario realismo, scontando la scarsa popolarità (in occidente) che forse gliene deriva. Molto meglio di tanti leader che in cambio della popolarità promettono sapendo di non poter mantenere. Poi magari arriverà qualche tecnologia che ci risolverà molti problemi. Ma nessuno può affidare il destino e il modesto benessere a cui aspirano miliardi di persone, giusto la libertà dalla fame, a qualche cosa che ancora non c’è e che non abbiamo la sicurezza che arrivi. È provato oltretutto che i ricchi sono in grado di adattarsi agli eventi climatici avversi molto meglio dei poveri. Perché stupirsi quindi se vogliono smettere di esserlo? 

Di più su questi argomenti: