Il salario minimo riempie i dibattiti, ma esce dal radar di governo e parti sociali

Nunzia Penelope

E' stato tirato fuori questa estate, ma neppure la Nadef lo contempla. Forse sarebbe più utile concentrarsi sui contratti collettivi e approvare finalmente una legge sulla rappresentanza

Il salario minimo ha ballato un solo per qualche giorno, se n’è andato con l’estate. Rilanciato nel corso della tre giorni organizzata dalla Cgil a Bologna, sembra per il momento già tramontato. Mario Draghi non ne ha fatto cenno quando ha incontrato a Palazzo Chigi i leader sindacali, ma anche la Nadef successivamente licenziata dal governo non contempla l’argomento: a differenza di quella dell’autunno scorso (governo Conte II), dove si citava esplicitamente  il “Ddl in materia di salario minimo e rappresentanza delle parti sociali nella contrattazione collettiva” tra i provvedimenti collegati alla legge di Bilancio. 

Fortemente voluto dall’allora ministro del Lavoro Nunzia Catalfo, col cambio di governo e il passaggio del testimone ad Andrea Orlando il ddl sul salario minimo era finito in disparte. Lo avevano recuperato, quasi a sorpresa, Giuseppe Conte ed Enrico Letta, nel corso del dibattito organizzato dalla Cgil. Dall’argomento Maurizio Landini è chiaramente attratto, ma mai del tutto deciso. Nel sindacato, infatti (e anche nella stessa Cgil) così come in Confindustria, c’è sempre stata  perplessità, o esplicita contrarietà, rispetto a un intervento legislativo sul salario. L’obiezione è che una cifra stabilita per legge (nel ddl Catalfo si ipotizzavano 9 euro l’ora) metterebbe in secondo piano i minimi definiti dai contratti nazionali, depotenziando la contrattazione. Inoltre, ricordano i sindacati, i contratti prevedono altre voci oltre a quella della paga base, e vari diritti, non in moneta ma altrettanto fondamentali, non ricompresi nel salario minimo. Il rischio concreto, spiegano, sarebbe quello di una migrazione delle aziende dai contratti verso il più conveniente salario fissato dalla legge. Per contro, le imprese – che comunque ritengono i 9 euro eccessivi rispetto alle medie salariali nazionali – temono un aumento del costo del lavoro. 

Va detto, inoltre, che la direttiva europea, da cui discendeva il ddl Catalfo, non obbliga i paesi a una definizione legislativa dei minimi salariali, ma afferma che anche una contrattazione estesa (come in Italia, appunto, o nei paesi del nord Europa)  è di per sé sufficiente a garantire minimi adeguati. E qui si entra in un altro antico ginepraio, cioè l’estensione erga omnes della validita dei contratti. Tema di non facile soluzione: per vari motivi giuridici, ma anche e soprattutto per la mancanza di una legge sulla rappresentanza che stabilisca il peso delle varie parti sociali e, di conseguenza, la validità dei contratti sottoscritti.  Landini ha rispolverato proprio questo argomento come preliminare anche rispetto al salario per legge. Dice il segretario generale della Cgil, in sintesi, che oggi il vero problema sono i contratti cosiddetti “pirata”, che si riproducono ormai come i Gremlins con un effetto dumping pesantissimo sulle retribuzioni. Una legge sulla rappresentanza taglierebbe fuori dalla contrattazione tutto questo marasma di sigle e siglette più o meno inesistenti e “piratesche”, riducendo il numero dei contratti, che scenderebbe dagli attuali 900 censiti dal Cnel a circa 200. A quel punto si avrebbe un quadro chiaro e trasparente sia dei contratti sia delle retribuzioni, superando probabilmente anche il problema del salario minimo. 

C’è però un dettaglio che non torna, e cioè: di legge sulla rappresentanza si parla da circa otto anni, il Testo unico sottoscritto da Cgil, Cisl Uil e Confindustria risale al 2014. Da allora, ci si è avvitati in un pazzesco labirinto di rimpalli per decidere a chi toccava calcolare il “peso” delle varie organizzazioni. Di volta in volta il compito è stato affidato al ministero del Lavoro, all’Inps, al Cnel, alle Camere di commercio, eccetera. E malgrado sindacati e imprese dichiarino di voler mettere ordine nella Torre di Babele delle rappresentanze, nessuna cifra su iscritti, tessere o associati è mai stata resa nota. E nessuna legge, pertanto, ha mai visto la luce. Periodicamente se ne torna a parlare, così come del salario minimo; ma a questo punto sembrano più che altro fenomeni carsici, o semplici argomenti di conversazione.

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