Acciaieri cercansi

Il rilancio della ex Ilva è appeso a un piano che Giorgetti non sa sbloccare

Annarita Digiorgio

All'assemblea di Federacciai alla Fiera di Milano il ministro dello Sviluppo economico annuncia un altro anno di cassa integrazione per i lavoratori dell'ex Ilva. I governi cambiano, ma i buoni acciaieri di stato ancora non si vedono

L’hanno chiamata Renaissance, è la Conference & Exhibition “Made in Steel” organizzata alla Fiera di Milano. Ed è stato davvero un piccolo rinascimento: migliaia di visitatori tra gli stand avveniristi allestiti da tutti i comparti della filiera dell’acciaio in grande ripresa, simbolo dell’industria manifatturiera che rinasce e dello sviluppo che accelera. Oltre l’esposizione anche convegni e conferenze su bilanci e innovazione, compresa l’assemblea annuale di Federacciai con la relazione introduttiva del presidente Banzato, il presidente di Confindustria Bonomi e il ministro dello Sviluppo economico. Giorgetti si è presentato agli acciaieri come uno di loro: “Ho accettato l’invito perché come tutti sapete lo stato è di nuovo parte del sistema – con l’ingresso di Invitalia in Acciaierie d’Italia –. La recente crisi ci ha fatto riscoprire l’importanza di avere un’industria nazionale per la produzione di acciaio”.

Il presidente Banzato riconferma il favore verso un intervento pubblico temporaneo in Ilva, mentre annuncia la contrarietà di Federacciai alla proposta di Giorgetti di un salvataggio Invitalia per Piombino, considerato dagli industriali un asset ormai obsoleto. Più netto invece il presidente di Confindustria Bonomi: “Non pronuncerò parole polemiche sul passato, ma è sotto gli occhi di tutti che cosa abbiano comportato espropri e gestioni commissariali pubbliche a Taranto, o come le condizioni offerte contrattualmente ad Arcelor Mittal siano state in primis dallo stato non rispettate”. Ma se Banzato si rivolge ai suoi associati chiamandoli “noi elettrosiderurgici”, il ministro gli risponde: “Lo sapete anche voi che l’acciaio non può essere tutto da forno elettrico”. In Italia infatti è rimasto solo lo stato a produrre acciaio da altoforno, quello di prima qualità. Banzato sciorina i dati: in Europa il 58 per cento della produzione è da ciclo integrale ed il 42 da forno elettrico. In Turchia 31 per cento contro 69, negli Stati Uniti 30 e 70, in Cina 91 e 9. In Germania e Francia: 68 contro 32. Solo in Italia abbiamo il 16 per cento di produzione da altoforno (Ilva) e l’84 da elettrico. Se il global warming è mondiale, certamente non lo producono le acciaierie italiane.

Il vicepresidente di Federacciai Antonio Gozzi lo rivendica: “Le nostre imprese sono completamente decarbonizzate, oltre a essere a energia circolare per definizione”. Infatti tutti i forni elettrici italiani sono alimentati da rottame, cioè acciaio riciclato. C’è un problema però: non basta per tutti. Due sono gli allarmi che lancia Federacciai: la mancanza di rottame, e il costo dell’energia. In questi giorni Feralpi è stata costretta a fermare alcuni stabilimenti per il picco del gas. La proposta di Federacciai è creare un mercato unico europeo sia del gas che del rottame. Altrimenti si rischia un nuovo collasso. L’unica a non avere bisogno né di rottame né di gas è Ilva, il siderurgico di stato. “Ora abbiamo tutti bisogno che riparta”, dice Banzato. Il mercato infatti, attualmente in grande ripresa su coils a freddo e zincati, è caratterizzato da una forte pressione sulle quotazioni dei coils (bobine d’acciaio) a caldo determinata dal blocco cinese e dalla produzione di Acciaierie d’Italia che non è stata sufficiente a rispondere alla domanda. Nonostante sia autorizzata a produrre 6 milioni di tonnellate l’anno (target entro il rischio sanitario accettabile), e 8 milioni al rifacimento di Afo5 nel 2023, quest’anno non arriverà alla metà.

Il neo presidente Franco Bernabè, intervenendo in un panel, dice che “l’errore più grande che possiamo fare è avere fretta. La storia di Ilva è una storia di resilienza: sono 10 anni che resiste a tutto, può aspettare ancora”. Chissà se il neo acciaiere Bernabè sa che da dieci anni diecimila lavoratori sono in cassa integrazione a meno di 900 euro al mese. Al centro della fiera spicca lo stand di Metinvest. Produce lo stesso acciaio di Ilva ma negli altiforni ucraini. Tutte le lamiere per il ponte Morandi e per la copertura dei parchi minerari di Taranto lo hanno fatto loro. Perché Acciaierie d’Italia è ferma. Il piano per il suo rilancio pubblico lo hanno scritto e firmato Arcuri, Gualtieri e Patuanelli. Non si sa perché il governo non lo faccia partire. Giorgetti va da Federacciai per un grande annuncio: “La cassa integrazione in Acciaierie d’Italia continuerà anche l’anno prossimo”. Questo e nient’altro. I governi cambiano, ma i buoni acciaieri di stato ancora non si vedono

Di più su questi argomenti: