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L'economia britannica ha un problema con l'energia. E (stavolta) la Brexit non c'entra

Alberto Chiumento

In due mesi il Regno Unito ha visto fallire 10 società del settore energetico. Uno dei mercati più deregolamentati teme altri fallimenti e chiede aiuto al governo, che almeno su questo sembra non cedere

L’economia anglosassone sta affrontando un problema nel settore energetico, ma stranamente la Brexit, i cui effetti stanno diventando sempre più evidenti con la ripresa economica, non ne è la causa. Da agosto sono fallite già dieci società private di fornitura di energia e gas. Di queste, tre sono saltate negli ultimi giorni, portando il numero dei clienti scoperti a circa 1,7 milioni. Si teme che altre possano fallire a breve e le aziende rimaste chiedono un intervento governativo che possa ammortizzare i costi di trasferimento dei clienti orfani dalle società fallite. 

     

Il costo del gas, i bilanci delle aziende e il "price cap"

I motivi della crisi sono di diversa natura: il principale è l’aumento dei prezzi del gas. Un problema che va ben oltre la Manica e che sta colpendo tutti i paesi europei, dato che un lungo inverno ha ridotto le scorte sul Continente e la rinata necessità di energia della Cina ha calamitato molte scorte verso l’Asia. Il costo all’ingrosso del gas naturale è aumentato di tre volte da inizio anno, trovando impreparati molti rivenditori di energia.

Il secondo motivo infatti è che molte delle tantissime (più di 50) aziende di questo settore hanno i bilanci estremamente tirati, le loro coperture finanziarie spesso sono risicate e un aumento così sostenuto dei prezzi può diventare insopportabile. Alcune di queste società, le cui tariffe di vendita sono definita in anticipo, si sono ritrovate in questo periodo a comprare energia all’ingrosso ad un prezzo maggiore di quello stabilito prima con i propri clienti.

Inoltre, ed ecco il terzo motivo, la presenza di un “price cap” – un limite al prezzo di vendita – non permette più di tanto alle imprese di ritoccare unilateralmente i prezzi. Ofgem, l’ente regolatore del mercato britannico che rivede due volte l’anno le tariffe, aveva già definito e permesso un aumento delle bollette, che da ottobre causerà un incremento di circa 140 sterline. Altre modifiche però non sono possibili.

  

Il mercato britannico

Il numero così elevato di aziende e l’assenza di solide coperture è dovuto al fatto che il mercato dell’energia britannico è uno dei più liberalizzati. Il processo di deregolamentazione era incominciato con la Thatcher, ma intorno al 2010 con una serie di riforme le sei principali società hanno visto aumentare i concorrenti fino a toccare il numero record di 78 del 2018. L’anno dopo è entrato in vigore il limite al prezzo durante il governo conservatore di Theresa May.

 

L’attuale governo, coerentemente con la visione del partito conservatore, sostiene la linea del non intervento in un mercato così deregolamentato. Kwasi Kwarteng, ministro dell’energia e della strategia industriale, ha ribadito più volte il suo rifiuto a utilizzare soldi pubblici per facilitare il passaggio dei clienti orfani alle società rimanenti, le quali lamentano che il blocco prezzi sulle tariffe di chi si trasferisce è ora un costo troppo elevato per loro, in una situazione di prezzi in forte crescita.

 

Quando fallisce una società fornitrice, l’ente regolatore Ofgem interviene e assegna ad un’altra azienda il cliente così da garantire la continuità dei servizi. Ai prezzi attuali però questo passaggio è molto costoso per chi riceve nuovi clienti perché c’è una differenza ampia, circa 500 sterline, tra il prezzo che per legge può essere imposto al nuovo cliente e il prezzo corrente dell’energia. Il trasferimento rappresenta quindi una perdita per le aziende che chiedono un intervento del governo, che però al massimo considera la possibilità di un prestito garantito dallo stato per fare fronte all’aumento delle spese.

 

Le reazioni del governo

Nel frattempo, Boris Johnson si è svincolato dalla vicenda e, individuando solo l’aspetto positivo, ha detto che si tratta solamente del “risveglio dell’economia globale” dopo la crisi pandemica. Come il suo ministro dell'energia e della strategia industriale Kwasi Kwarteng, Johnson si affida al mercato per la risoluzione interna del problema. La vera questione è se e fino a quanto questa posizione durerà, visto che ad esempio in tema Brexit molte delle idee iniziali del governo Johnson hanno dovuto essere modificate. A breve, ad esempio, verranno rilasciati 5 mila passaporti temporanei (validi fino a fine anno) per facilitare il ritorno degli autotrasportatori stranieri nel Regno Unito e altri 5.500 passaporti aiuteranno il settore del pollame a richiamare lavoratori dall’estero. Le aziende energetiche non perdono tempo e accusano già il governo: non è un vero libero mercato se lo stato può definire un "price cap".