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l'analisi

Il ruolo dell'Antitrust alla prova della sostenibilità ambientale

Marco Percoro

I provvedimenti dell'Autorità garante della Concorrenza e del mercato ripongono una gran fiducia nelle forze intrinseche del mercato. Ma nel caso delle tematiche ambientali c'è bisogno di un altro approccio

Ci sono tematiche che ci paiono così lontane e inconciliabili nelle nostre mappe mentali, da fare fatica a identificarne i nessi anche quando eventi nuovi portano a galla legami insospettabili. E’, questo, il caso del provvedimento dell’Autorità garante della Concorrenza e del mercato n. 29645, in cui si sanzionava Google per non aver consentito l’accesso di Enel X e dei punti di ricarica per veicoli elettrici al sistema di geolocalizzazione e di mapping di Android. 

Questo caso, benché relativo a un abuso di posizione dominante di un operatore rispetto a un segmento dei servizi di trasporto, complice il periodo di grande sensibilità verso le questioni ambientali, ha richiamato l’attenzione degli operatori e degli studiosi verso le possibili implicazioni ambientali della politica della concorrenza. A prescindere dal caso specifico di Google/Enel X, emergono diversi punti di attenzione, tanto più che il dibattito sulla questione è assai scarno e improntato a un approccio  “idealista”. Questa visione dell’azione antitrust ripone grande fiducia nelle forze intrinseche della concorrenza, in base alle quali consumatori perfettamente informati circa i danni ambientali generati dalla produzione di determinati beni e servizi, tenderebbero a favorire i prodotti più sostenibili. In questo senso, la politica della concorrenza, attraverso una fiducia incondizionata nelle scelte di consumo, condurrebbe inevitabilmente a un miglioramento della qualità ambientale.

Naturalmente, questo approccio appare essere slegato dalla realtà e ignora, di fatto, il grado di effettiva consapevolezza, nonché il bagaglio informativo, dei consumatori. Comprendere invece concretamente le implicazioni ambientali delle azioni di antitrust enforcement significa accettare e approfondire almeno tre punti. La competizione, per definizione, comprime i profitti attraverso un’attenzione all’allineamento tra i ricavi e i costi di produzione. In tale contesto, ogni investimento volto a migliorare la performance ambientale delle imprese, in presenza di consumatori non attenti o non ben informati sulle tematiche ambientali, comporterebbe un aumento dei costi e non necessariamente dei ricavi. In tale contesto, e in assenza di regolazione stringente, l’azione antitrust di promozione della competizione non necessariamente implicherebbe una più decisa tensione verso la sostenibilità. Va da sé che, invece, azioni di contrasto al dumping ambientale e a pratiche commerciali scorrette potrebbero garantire concorrenza e sostenibilità a un tempo.

La cooperazione tra imprese è da sempre considerata favorevolmente quando è strumentale alla produzione di nuove tecnologie o nuovi prodotti, mentre diventa problematica quando nasconde pratiche collusive. Ma è bene sottolineare come, in alcuni casi, come quelli del trasporto aereo o del trasporto urbano, la concentrazione, o addirittura la collusione tra imprese, riduce congestione e inquinamento grazie proprio alla cooperazione tra imprese. Un’autorità che imponesse una competizione ferrea potrebbe finire con l’aumentare i livelli di congestione e inquinamento delle città. Qualora caricassimo la politica della concorrenza anche di aspettative legate alla sostenibilità, allora la quantificazione del danno da azioni lesive della concorrenza nei tribunali civili, in linea di principio, dovrebbe pure considerare in aumento (o in detrazione in base a quanto scritto sopra) una parte di danno (o beneficio) ambientale.

La sentenza Google/Enel X è certamente un caso specifico forse solo indirettamente legato alla questione della sostenibilità, sebbene seguito proprio in questi giorni dalla sentenza della Dg Comp in cui si è sanzionato un presunto cartello di case automobilistiche volto a bloccare tecnologie potenzialmente verdi. Ciononostante, ha posto all’attenzione del dibattito pubblico alcune implicazioni ambientali delle decisioni dell’Autorità Antitrust, sinora solo parzialmente considerate. Sebbene nel caso specifico, come in alcuni altri, tali effetti potrebbero essere positivi, è da rimarcarsi come spesso l’Autorità si troverà di fronte a un trade-off tra efficienza dei mercati ed efficienza ambientale. In altre parole, in alcuni casi, il danno sociale derivante da azioni di lesione della concorrenza potrebbe essere addirittura compensato da un beneficio sociale di natura ambientale. Di fronte a questo trade-off sembra ripresentarsi il fantasma della natura stessa (amministrativa o politica?) dell’Autorità. 

 

Marco Percoco è docente all'Università Bocconi

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