(Foto LaPresse)

La fusione europea

Umberto Minopoli

La “prova elettrica”, l’allaccio alla rete del primo impianto dimostrativo per il nucleare, è prevista tra il 2040 e il 2050: sarà un momento chiave. Le scelte dell'Europa e il ruolo strategico dell'Italia

Ma è davvero lontana la fusione nucleare? La “prova elettrica”, l’allaccio alla rete del primo impianto dimostrativo, è prevista tra il 2040 e il 2050. Non è affatto un futuribile. Anzi: è una data chiave. Quello è il decennio, ricordiamolo, in cui si vorrebbe traguardare la decarbonizzazione dell’economia europea. È tutt’altra prospettiva poter contare, a quelle date, sull’avvio alla disponibilità di una fonte di energia pulita, a buon mercato e pressoché illimitata. Inoltre, c’è una novità: al completamento, previsto nel 2025, dell’impianto sperimentale Iter (International Thermonuclear Experimental Reactor), nella Provenza francese, si affiancherà un impianto dimostrativo, nell’area di Oxford, in base a un accordo tra la canadese General Fusion e l’inglese Ukaea. L’effettivo funzionamento di un reattore di fusione può essere provato solo in un impianto a scala di centrale. In questa prova fisica della fusione, l’Italia avrà una funzione strategica.

 

A Frascati si localizzerà il Dtt (Divertor Tokamak Test) una versione gemella dell’impianto Iter. Servirà a verificare il componente chiave del tokamak (acronimo russo che sta per camera toroidale magnetica), la tipologia di reattore scelta dal consorzio internazionale Iter. L’Europa sarà il centro della prova di fattibilità dell’uso energetico ed elettrico della fusione nucleare. La tecnologia della fusione, ristretta all’inizio a un gruppo di paesi (Europa, America, Russia) è oggi, come la tecnologia spaziale, perseguita da un club assai vasto di paesi industrializzati, con l’aggiunta di giapponesi, cinesi, sudcoreani, canadesi. Le macchine di fusione si sono venute raggruppando intorno a due tipologie: quella, perseguita in Europa con il tokamak (estrazione di energia da un plasma caldo in rotazione), quella scelta dagli Stati Uniti del confinamento inerziale (raggi di luce laser bersagliano e riscaldano sferette di isotopi di idrogeno fondendoli). La scelta tecnologica europea si va rivelando più vicina alla traduzione dei principi fisici della fusione in dimostrazione pratica. 
 

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