Sorpresa! Così l'Europa cancella il piano del Pnrr su Ilva

Annarita Digiorgio

Nel capitolo sulla siderurgia del Piano di ripresa italiano approvato dalla Commissione  salta il riferimento alla produzione di idrogeno basata sull'elettrolisi utilizzando fonti rinnovabili. Lo sviluppo della tecnologia richiederà anni. Quello che si poteva fare nel frattempo corrispondeva al piano di ArcelorMittal

Non ci saranno i fondi del pnrr per la nuova Ilva. Anche se ministri e partiti continuano a ripeterlo, forse più per dare speranza a se stessi che al mercato e ai lavoratori. Questa è una verità che si è sempre saputa, dal momento che il gas non è contemplato tra gli investimenti possibili del grande progetto di rilancio europeo. E un Ilva decarbonizzata, per forza di cose, deve andare a gas. Questo elemento adesso è stato messo nero su bianco. C’è una sostanziale modifica nel capitolo del Pnrr dedicato alla siderurgia, chiamato hard to abate, tra la versione consegnata dal governo italiano e quella bollinata dall’EU: è saltato il riferimento al DRI prodotto con metano e forno elettrico, sostituito nella versione definitiva solo con una “produzione di acciaio attraverso un uso crescente dell’idrogeno e fondi alla ricerca e sviluppo per produzione di idrogeno basata sull'elettrolisi utilizzando fonti energetiche rinnovabili’. Considerando che al momento l’utilizzo dell’idrogeno nella siderurgia è solo in fase sperimentale, e necessita di molti anni, se l’impianto per la produzione di DRI a metano si vorrà fare si farà con finanziamenti esclusivamente statali.

Eppure era già iniziata la guerra tra due cordate per accaparrarsi i fondi: da un lato Danieli con Saipem e Leonardo, dall’altra ArcelorMittal con Paul Wurt e Fincantieri. Questo impianto in ogni caso era un surplus rispetto al piano Ilva, anche se ne sfruttava la crucialità mediatica e geografica per accaparrarsi quello che il segretario del pd Letta ha chiamato “risarcimento” per Taranto. Ma è sempre stato fuori dal perimetro, anche fisico, di Ilva. Non a caso il piano firmato dal governo Conte II a dicembre 2020 non contempla sin dal principio fondi europei. E’ chiaro a tutti che l’investimento pubblico su Ilva parte dal miliardo di Invitalia per l’ingresso in società, cui saranno aggiunti i 4 miliardi per il piano industriale e ambientale, e non si sa ancora bene quanti per i debiti pregressi, più la cassa integrazione già stabilita di 3 mila unità fino al 2025 e non si sa quali incentivi per gli oltre mille esuberi di Ilva in Amministrazione Straordinaria.

I ministri che hanno in mano il dossier, Giorgetti, Orlando e Cingolani, avevano dichiarato di voler aspettare la sentenza del Consiglio di Stato per ripartire con il piano della siderurgia. Il progetto fissa un aumento di produzione dagli attuali 3,5 milioni di tonnellate di acciaio l’anno, agli 8 nel 2025 (indispensabili come breakeven economico e occupazionale). Per arrivarci il cronoprogramma presentato a fine dicembre dai ministri ai sindacati prevede entro quest’anno l’avvio dei lavori di revamping dell’altoforno 5 che con afo4 e afo1 fornirà 5 milioni di tonnellate di acciaio l’anno, a cui si aggiunge un forno elettrico da 2,5 milioni di tonnellate. Di soluzioni per un altoforno moderno e meno inquinante ce ne sono diverse, a partire proprio dalle dalla plastica che viene fornita dal consorzio italiano Corepla per l’altoforno di Linz, o le sperimentazioni a biolegna di ArcelorMittal che potrebbero essere utili anche per smaltire gli ulivi morti per la Xylella che oggi vengono dati al fuoco. Quanto al forno elettrico, ad oggi rappresenta l’80 per cento della produzione di acciaio in Italia, a fronte del 40 per cento in Europa e del 20 in Cina. Questi vengono alimentati per la maggior parte a rottame, cioè acciaio riciclato. Ma il rottame non basta per tutti, ce n’è sempre meno, di meno qualità, costa tanto, e il prodotto finito non è lo stesso. E’ certamente una produzione meno inquinante, e il nostro Paese ne è già leader mondiale, ma la c02 risparmiata dalle acciaierie italiane viene immessa in quantità molto più elevata da quelle degli altri paesi non contribuendo a ridurre il global warming.

Vi è un altra possibilità, attualmente poco utilizzata, per alimentare i forni elettrici: quella di usare DRI ma abbiamo visto le difficoltà per produrlo senza fondi europei a prezzi convenienti ma soprattutto in tempi rapidi. Secondo diverse stime, servirebbero almeno 6 anni. Nel frattempo? Ce l’ho ha detto il Consiglio di Stato: rispettare Aia e dpcm 2017 che “garantiscono l’equo bilanciamento tra salute e lavoro”. Senza perdere altro tempo in illusioni e fantasie: completare piano ambientale, investire in sicurezza sugli impianti, aumentare la produzione, tornare in attivo, azzerare cassa integrazione. Era il piano di Arcelormittal se lo avessero lasciato lavorare, con lo scudo penale per ciò che non è stato fatto fino ad esso. 

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