Editoriali

È morta la Gig Economy? Come no

Redazione

Il flop quotazione di Deliveroo c’è, il de profundis è sciocco, cara Rep.

La quotazione di Deliveroo ha deluso le attese, in primo luogo quelle di Will Shu e Greg Orlowski i due imprenditori americani che l’hanno fondata a Londra nel 2013 con il nome ufficiale di Roofoods. Collocata mercoledì a 3,9 sterline per azione con una capitalizzazione di 7,59 miliardi, ha perso subito il 30 per cento per poi riprendersi parzialmente. E si è levato un coro: flop, anzi Flopperoo.

I media hanno inzuppato il biscotto, l’Italia si è distinta nell’intonare il de profundis, a cominciare dalla coppia Gedi: La Repubblica-La Stampa. Eppure la notizia della morte della Gig economy (e della stessa Deliveroo) è esagerata. Semmai è un esame di maturità. Ad aprire la doccia fredda sono stati i fondi di investimento. Circolano diverse spiegazioni del loro comportamento. La prima è di mercato e riguarda la proprietà della compagnia, articolata in due classi di azioni con diversi poteri e diritti di voto. Non è certo una novità, anzi è un escamotage molto diffuso, a cominciare dagli Stati Uniti, per blindare il controllo, però chi compra non gradisce rimanere in qualche modo intrappolato in una società poco contendibile. La seconda ragione è di carattere sociale e ci porta al nuovo mantra del capitalismo “responsabile”. I fondi si preoccupano delle condizioni di lavoro, i rider vogliono garanzie, anche in Gran Bretagna, chiedono più diritti. Ciò ha la sua ricaduta finanziaria: aumenta i costi e riduce i profitti attesi. La terza motivazione è legata alla pandemia. Le consegne a domicilio sono diventate essenziali durante i lockdown, ciò ha portato alle stelle il valore intrinseco delle compagnie che forniscono il servizio. Ora sta arrivando una svolta grazie alla vaccinazione di massa. È naturale che chi investe si faccia due conti guardando al futuro. Ciò non toglie che siamo di fronte alla maggiore quotazione iniziale alla borsa di Londra dall’inizio dell’anno. “Il modo in cui la pensiamo è semplice – ha detto in un comunicato la società – ci sono 21 occasioni di pasto in una settimana (colazione, pranzo e cena), sette giorni a settimana. Adesso, meno di una di esse avviene online. Noi siamo al lavoro per cambiarlo, ma siamo davvero solo all'inizio del nostro viaggio”. Calma, dunque, prima di gridare al fallimento.

 

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