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Così la ricostruzione europea supera il tabù del fondo perduto

Mariarosaria Marchesano

Le sovvenzioni saranno il doppio dei prestiti nel Recovery sempre più inclinato verso i paesi del sud. Analisi di Goldman Sachs

Milano. “Più piccolo, più lento, ma più inclinato verso sud”. Così sarà il Recovery Fund secondo una ricerca di Goldman Sachs, che ricostruisce minuziosamente il complesso negoziato che si sta svolgendo tra la Commissione presieduta da Ursula von der Leyen e i leader dei paesi alla vigilia dell’inizio del semestre tedesco alla guida del Consiglio europeo. Ieri il presidente francese Emmanuel Macron è volato a Berlino per discutere del piano con la cancelliera Angela Merkel dopo aver incontrato 150 rappresentanti della convenzione per il clima, segno che l’Eliseo è sempre più propenso a esprimere un indirizzo in chiave ambientalista. Intanto, però, la costruzione del Recovery resta controversa sia per quanto riguarda le dimensioni sia per la sua composizione. Il fatto che il capo economista del Fondo monetario internazionale, Gita Gopinath, abbia detto in un’intervista al Der Spiegel che il piano debba essere rappresentato in prevalenza da sovvenzioni (quindi, contributi a fondo perduto) piuttosto che da prestiti, dice qualcosa sullo sforzo di orientare la discussione in corso verso una risposta fiscale dell’Europa alla crisi generata dalla pandemia che sia più coesa possibile, ma non sarà facile trovare un punto di incontro entro l’estate, cosa che consentirebbe di far partire il piano per l’inizio del 2021.

 

Secondo l’ipotesi avanzata dalla banca d’affari americana, un possibile compromesso potrebbe essere trovato intorno alla cifra di 600 miliardi di euro, più piccola, quindi, dei 750 miliardi ipotizzati dalla Commissione, che si sarebbe mantenuta larga apposta per avere poi margini di contrattazione, ma con un equilibrio tra sovvenzioni e finanziamenti che vedrebbe nettamente prevalere i primi (400 miliardi) rispetto ai secondi (200 miliardi). Per quanto riguarda la suddivisione tra paesi, sempre Goldman osserva che sebbene la proposta non preveda un’allocazione formale dei fondi, le simulazioni eseguite “sono degne di nota per la loro inclinazione verso l’Europa meridionale (Italia, Spagna, Grecia) nonché per i paesi dell’Europa orientale”. Così, si possono stimare 80 miliardi di euro per l’Italia e circa 70 miliardi di euro per la Spagna. Le opposizioni dei paesi “frugali” (Olanda, Austria, Svezia e Paesi Bassi) a quest’allocazione non mancherebbero, ma, come fa notare la ricerca, anche da parte di questi stati un passo in avanti è stato fatto ed è consistito nel riconoscere che i contributi a fondo perduto sono più efficaci dei prestiti per stimolare una ripresa economica che non sia “divergente”, il che equivarrebbe a mostrare il lato debole dell’Europa al mondo. Un punto importante che i “frugali” vorrebbero fosse chiarito è in che modo i fondi del piano di risanamento si collegheranno ai bilanci nazionali. Cioè, se le sovvenzioni finanzieranno i piani di spesa esistenti dei singoli stati oppure saranno spesi in aggiunta agli attuali piani di bilancio.

 

“Il nostro punto di vista – dicono i due economisti di Goldman Sachs, Alain Durré e Sven Jari Stehn – è che lo scopo delle sovvenzioni è quello di fungere da fonte di finanziamento per sostenere lo stimolo diretto nei paesi in cui la convergenza economica è a rischio e lo spazio fiscale limitato. Dato il consenso tra i leader Ue sulla necessità di promuovere la convergenza economica, è quindi probabile un piano composto principalmente da sovvenzioni. Al contrario, il meccanismo basato sui prestiti sarà probabilmente utilizzato per finanziare ulteriori investimenti pubblici non ancora panificati dai governi che hanno spazio fiscale limitato”. Se su questo fronte comincia a registrarsi una certa compatezza di vedute tra i paesi, le divergenze persistono su diversi altri punti come il processo decisionale per la selezione dei progetti e le erogazioni da parte dell’Unione europea. La Commissione propone uno schema semplificato: passare dall’attuale quadro di sorveglianza macroeconomica basato su obiettivi annuali a obiettivi di medio termine. I paesi “frugali” sono, invece, a favore di un monitoraggio molto più rigoroso. E su questo non molleranno facilmente.