(foto LaPresse)

A cosa badare per capire che ne sarà della stagione turistica italiana

Valeria Manieri

Dati, flussi, paragoni e due chiacchiere con il presidente dell’Enit. La vacanza da noi non fa così paura, sulla carta

Roma. La fase tre dell’emergenza Covid, che diventa convivenza con un rischio ritenuto da scienza e politica accettabile, accarezza subito la grande sfida della ripartenza economica e questa, complice l’estate, si avviluppa subito al turismo. Ma la faccenda è complicata, per svariate ragioni. Sappiamo già che questa estate sarà diversa e che avremo un paese spaccato a metà, con disuguaglianze crescenti e una classe media sempre più impoverita. Per alcuni l’estate sarà molto cauta e timorosa, vuoi per l’effetto capanna, vuoi perché di soldi non ce ne sono tanti, vuoi perché si rimandano spese per viaggi importanti a periodi migliori, vuoi perché si temono le seconde ondate. Per altri sarà una liberazione e con essa la possibilità di allontanarsi da quel nido-prigione, specialmente nelle zone rosse italiane, magari per viaggi nel sud Italia o addirittura qualche meta lontana, sperando di evitare l’obbligo di quarantena che non è cosa proprio per tutte le tasche.

 

Diverse elaborazioni di dati Istat e Ocse ci dicono che l’Italia è al primo posto in Europa per quota di esercizi ricettivi sul totale dell’Ue (più del 30 per cento nel 2018) e al secondo per quota di presenze di clienti di residenza estera (50,6 nel 2019). Il peso del turismo e del suo indotto è ingentissimo. Il che non è sempre un bene e suggerirebbe in futuro di diversificare i nostri asset, che peraltro nemmeno sappiamo sempre valorizzare al meglio. 

 

 

Inoltre i risultati dell’ultimo Conto Satellite del Turismo disponibile segnalano che il peso del valore aggiunto delle attività turistiche sul totale dell’economia italiana è circa il 6 per cento. Banca d’Italia lo scorso anno ci segnalava che il peso sul pil oscillava tra il 5 e il 13 per cento considerando anche l’indotto turistico. Il 6 per cento dell’occupazione italiana dipende proprio da questo settore. Ci sono stime che per la verità alzano ancora questa asticella, il che francamente non conforta dato il periodo. Per il futuro l’Ocse ci indica una contrazione dei flussi di viaggiatori (in uno scenario medio o ottimistico) del 45 per cento del turismo internazionale per l’anno 2020.

 

In uno scenario pessimistico, ovvero se la ripresa dovesse tardare ancora, avremmo un calo ancora più drastico, pari a -75 per cento. Ma come ce la caviamo nel contesto europeo, nel confronto con gli altri paesi membri, alleati e competitor al tempo stesso? L’attenzione va a paesi come Spagna, Grecia e Portogallo. Questi paesi sono più dipendenti in termini assoluti dal turismo internazionale e l’incidenza del turismo sul proprio pil è molto importante. Dando un’occhiata approfondita ai numeri forniti dal Wttc (World travel tourist council, grazie ad alcune rielaborazioni di Guido Borà del Centro studi CeRM) si può notare che la Spagna è molto più dipendente dell’Italia dal turismo internazionale, per non parlare di Grecia e Portogallo. Questi paesi hanno pochissimo turismo di prossimità o interno. Tuttavia paesi come Portogallo e Grecia potrebbero beneficiare di maggiore fiducia da parte dei turisti internazionali ed europei, poiché l’emergenza Covid in quei territori europei è stata molto contenuta e con numeri assai più facili da maneggiare. Un senso di maggiore fiducia e sicurezza da parte dei turisti europei e internazionali potrebbe premiare Grecia e Portogallo sebbene, in caso di necessità o di altre ondate Covid, ci sarebbe poco da star tranquilli a livello sanitario.

 

Per il nostro paese, visto il peso del turismo interno, diventa cruciale la mobilità tra regioni e la capacità di far girare persone ed economia, ovviamente con tutte le cautele del caso. Come appare evidente saranno le città d’arte e i luoghi tradizionalmente vocati al turismo, insieme a quei territori che in mancanza di meglio avevano investito tutto sull’asset turistico, a essere maggiormente danneggiati da una estate non ancora Covid-free. Il Mezzogiorno d’Italia, ancora sottodimensionato in termini di strutture e accoglienza, ma potenzialmente promettente, potrebbe non riuscire a soddisfare una eventuale ondata extra di turismo nostrano o di prossimità. O invece potrebbe scommettere in un periodo rischioso ampliando la propria capacità ricettiva. Si vedrà.

 

In questi giorni è uscita anche la fotografia ufficiale dell’Enit, l’Agenzia nazionale per il Turismo e insieme al suo presidente, Giorgio Palmucci, abbiamo cercato di leggere i dati che emersi per cercare di immaginare con maggiore precisioni quali mesi estivi ci attendono.


La Spagna è molto più dipendente dal dal turismo internazionale, così come Portogallo e Grecia: sono paesi che non hanno turismo interno. L’Italia ha il 50 per cento esterno e il 50 interno, ma Portogallo e Grecia potrebbero approfittare del fatto che l’emergenza Covid è stata lì più contenuta


 

Secondo Enit, esiste una popolazione di quasi 300 milioni di persone che si interroga sull’opportunità di trascorrere una vacanza nella nostra penisola. “L’Italia sembrerebbe non spaventare, nonostante gli importanti numeri dell’epidemia. Anzi, la penisola viene considerata come un territorio a un passo dal Covid free (incrociando l’incrociabile), iper monitorato e rassicurante. Questo stando al monitoraggio sui social e web di Enit”, ci racconta Palmucci. A fine maggio Enit calcolava oltre “753,7 mila citazioni sul viaggio in Italia – di cui 50 mila sul web e 703,7 mila dai social – che hanno prodotto 207,1 milioni di interazioni”. Insomma un’enorme campagna di comunicazione spontanea sul nostro paese, per lo più positiva, nonostante il periodo nero. Come si tradurrà il sentimento in quote economiche e turistiche ancora non è dato sapere, ma il “purché se ne parli” sembra avere spesso una qualche efficacia.

 

Ma quanto abbiamo perso dall’inizio dell’epidemia a oggi? Su questo vengono in aiuto, si fa per dire, i dati sul volume complessivo degli arrivi aeroportuali dall’inizio del 2020 alla fine di aprile. “Questo volume in Italia rispetto allo stesso periodo del 2019 è diminuito del -64,5 per cento. Dalle nostre stime, aggiornate al 4 giugno, l’analisi delle prenotazioni aeroportuali estive – da giugno ad agosto – in confronto con i competitor diretti Spagna e Francia segnala ancora una caduta delle prenotazioni sia in Italia sia negli altri paesi analizzati. Sono circa 235 mila le prenotazioni di passeggeri aeroportuali internazionali per l’Italia, poco meno di 231 mila per la Spagna e poco più di 193 mila per la Francia”. Il nostro paese, pur avendo il maggior numero di prenotazioni in corso, sconta il calo più drastico e quindi le perdite più ingenti: -87,1 per cento rispetto al -86,5 della Francia e al -84,5 della Spagna. Chi veniva da noi verrà nuovamente e ora latiterà per un po’? Secondo la lista Enit delle prenotazioni internazionali relative al periodo maggio-ottobre rispetto allo scorso anno, i cali più evidenti nelle prenotazioni sono quelli dal Giappone (-80,9 per cento), Brasile (-74,4), Sud Corea (-72,9) come gli Stati Uniti e, infine, Australia (-70,2). 

 

 

Si stabilizza la diminuzione delle prenotazioni dal primo giugno al dodici luglio con una contrazione forte pari al -91,4 per cento, dovuta principalmente al calo della Cina (-99,4 per cento), ma diffusa anche a tutti gli altri mercati. Insomma molto dipende dall’apertura delle frontiere e dalla gestione su scala globale di una pandemia simmetrica ma asincrona.

 

In conclusione, secondo Giorgio Palmucci, che fornisce con Enit un bollettino settimanale sull’andamento dei flussi del turismo e del suo indotto, “stiamo vivendo un momento straordinariamente negativo. Quello del Covid è certamente il peggior evento per il turismo, mai una riduzione così drastica dal secondo dopoguerra. Una nota positiva però che voglio dare è che anche il passato ci insegna che dopo grandi eventi che impattano negativamente sul turismo, come attentati, guerre, crisi di vario tipo, poi ci sono sempre riprese, rimbalzi, opportunità”. Palmucci ribadisce che “il 50 per cento del turismo sulla penisola è italiano e il 50 per cento è straniero. Negli scorsi anni avevamo toccato quote sui 12 mesi importantissime segnando nel complesso 430 milioni di pernottamenti italiani e stranieri. Sono quote che difficilmente rivedremo nel breve periodo”. Il nostro import nel turismo è migliore del nostro export, insomma. In effetti, segnala il presidente Enit, “abbiamo un saldo positivo di 17 miliardi sulla nostra bilancia commerciale turistica in tempi ‘normali’. Sono 46 i miliardi spesi dagli stranieri in Italia, 27 miliardi sono quelli spesi dagli italiani all’estero”. Avere pochi stranieri è una bella fregatura perché loro spendono di più in Italia di quanto noi spendiamo all’estero. Però, sembra di capire che non proprio tutto è perduto. O almeno bisogna provare a stare a galla. Questa estate avremo (almeno) la possibilità di rafforzare ancora il turismo interno per non soccombere, cercando al contempo di conservare il turismo di lingua tedesca. “In effetti i flussi turistici in Italia vengono per il 30 per cento da paesi di lingua tedesca, Germania, Austria, Svizzera. I tedeschi frequentano assiduamente la penisola dalla fine dell’800 e dal Secondo dopoguerra”. La nostra speranza, aggiunge, è di recuperare il gap con la maggioranza degli italiani che rimarrà sulla penisola e consolidare il turismo dei paesi vicini, che tradizionalmente amano trascorrere le vacanze da noi. Possiamo ancora garantire bellezza, cultura, svago, sicurezza”.

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