Monaco di Baviera durante il lockdown (LaPresse)

La Germania mostra all'Europa come si fa un piano per il rilancio

Maria C. Cipolla

Taglio dell’Iva, aiuti ai comuni, bonus figli, incentivi alle imprese e investimenti per l’innovazione: 130 miliardi e una visione

Milano. Il piano di rilancio da 130 miliardi varato da Angela Merkel, più che la prova dell’abbandono della linea del rigore sui conti da parte tedesca, dimostra che la Germania ha assunto davvero la leadership europea. La misura che ha impressionato la maggior parte degli analisti è il taglio dell’aliquota Iva dal 19 al 16 per cento e dal 7 al 5 per cento fino alla fine del 2020: una scelta per stimolare i consumi che vale 20 miliardi di euro, una manovra a sé. E che va nell’interesse anche dei partner Ue e dei loro sistemi industriali. In generale tutta la strategia tedesca è in linea con le priorità europee, che ovviamente anche la Germania ha contribuito a mettere a punto, e con i suggerimenti arrivati negli anni da Bruxelles.

 

Martin Peitz, professore di economia all’università di Mannheim dove dirige il centro per la competizione e l’innovazione, lo definisce subito un pacchetto “massiccio”. “Contiene le riduzioni temporanee dell’Iva e un sussidio una tantum per ogni figlio, investimento nel capitale umano e nelle infrastrutture, sostegno per i comuni. Più di un terzo del totale sarà impiegato nel combattere il cambiamento climatico e per spingere innovazione e digitalizzazione. In breve, il pacchetto contiene stimolo alla domanda e investimenti nel futuro. Nel complesso un risultato impressionante”. Il piano di sostegno al sistema produttivo prevede incentivi per 6 miliardi agli investimenti di impresa e risorse massicce – 25 miliardi – messe a disposizione delle piccole e medie imprese come finanziamento ponte, dall’altra per i comuni, gli enti locali più vicini ai cittadini, saranno destinati 5,9 miliardi.

 

Una fetta grossa dei finanziamenti sarà utilizzata per spingere i settori su cui la Germania ha da tempo costruito la sua idea di sviluppo del paese e dell’Unione: da una parte digitale, sicurezza e difesa; dall’altra la dolorosa ma necessaria riconversione dell’industria automobilistica tedesca, un comparto che da solo impiega direttamente più di 869 mila persone, contro i circa 163 mila occupati in Italia e i 223 mila francesi. “Una particolare sorpresa – dice Peitz – è che il programma non contenga nessun supporto per l’industria automobilistica al di là di sussidi più alti per le auto elettriche e investimenti nella rete di stazioni di ricarica. La lobby dell’auto e alcuni politici hanno spinto per sussidi per le auto a combustibili fossili, ma non li hanno ottenuti. Questo mi sembra un grande successo: una politica economica sana e buona per l’ambiente”. Il peso specifico dell’automotive made in Germany è sempre stato fortissimo a Berlino (come a Bruxelles) eppure il governo, anche per la necessità di compromesso tra Spd e Cdu, ha destinato il “bonus innovazione” da 2,2 miliardi agli acquisti delle sole auto elettriche. Il pacchetto sui trasporti è ampio: altri 2 miliardi sono a disposizione delle aziende per l’innovazione e 2,5 miliardi per strutturare una rete capillare per le ricariche, soprattutto negli edifici pubblici, e per sostenere ricerca su e car e batterie, senza contare il nuovo calcolo delle imposte sui veicoli, che tiene ancora più in conto le emissioni inquinanti, i fondi per il trasporto pubblico e per la conversione delle flotte aziendali e commerciali e gli aiuti a Deutschebahn per la conversione del trasporto ferroviario. Insomma, il piano non è il sostegno all’auto in sé, ma un ventaglio di misure pensate per una trasnzione tecnologica complessiva. Si tratta di un programma che Berlino aveva già in parte messo a punto, anche in vista del Green New Deal, e che dimostra come i tedeschi abbiano davvero fatto la distinzione tra la manovra di marzo – destinata a tenere a galla le imprese – e quella attuale che serve per il rilancio e quindi per il domani.

 

Allo stesso modo al domani guarda il sussidio di 300 euro per ogni figlio – valore complessivo di 4,3 miliardi – e che è ancora più significativo visto che è varato da un paese che a guardare i dati Eurostat è secondo solo al Lussemburgo per spesa per bambino (inteso come minore di 18 anni). Berlino mette a disposizione circa 8 mila euro a figlio contro gli appena 3 mila di Roma, dove ogni proposta significativa verso bambini e giovani viene sistematicamente ricacciata indietro. Come ha scritto Pepijn Bergsen, analista di Chatam House: “E’ difficile criticare in modo significativo il piano di ripresa economica del governo tedesco, dovrebbe essere un modello per i piani di altri governi europei”.

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