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Up patriots to arms. Investimenti privati per la ripresa comune
Il contenimento del debito pubblico sarà (di nuovo e in modo ancor più urgente) la grande sfida del prossimo futuro e avere la fiducia dei cittadini nelle capacità dello Stato di farvi fronte rappresenta un elemento di forza sul mercato
In un passaggio particolarmente interessante dell’articolo pubblicato il 25 marzo sul Financial Times, Mario Draghi affermava che “un livello di debito pubblico molto più alto dell’attuale diventerà una caratteristica permanente delle nostre economie, e sarà accompagnato dalla cancellazione del debito privato».
Aggiungendo che: “Per certi versi l’Europa è ben equipaggiata per fronteggiare questo shock straordinario. Possiede una struttura finanziaria granulare, in grado di convogliare fondi in qualsiasi parte dell’economia che ne dovesse avere bisogno. Possiede un forte settore pubblico in grado di coordinare una rapida risposta. La velocità sarà essenziale per essere efficaci”.
Riflessioni che provengono da uno dei profili più credibili e autorevoli del panorama economico mondiale e che sembrano prefigurare un cambio di paradigma rispetto all’ortodossia economica prevalente in Europa così come impressa in maniera particolarmente stringente nei trattati economici europei. Riflessioni che aprono la strada, in questa fase di straordinaria emergenza globale, al coinvolgimento del risparmio privato per finanziare il necessario e inevitabile aumento di debito pubblico.
Nei giorni seguenti, il viceministro per l’Economia Antonio Misiani dava nuova linfa alla direzione tracciata dall’ex governatore della Bce: “Dovremmo fare uno sforzo importante per mobilitare le risorse ferme: ci sono 1.400 miliardi fermi sui conti correnti e depositi delle famiglie, che sono rimasti lì per anni per prudenza, bisogna farglieli investire e trovare tutti i canali per rafforzare il sistema produttivo”. Il viceministro prospettava nel suo intervento “un’emissione di titoli a lunghissimo periodo, con un’alleanza tra risparmiatori, Stato e sistema produttivo per raccogliere risorse per il rilancio del Paese”.
Ipotesi che trovava conferma nelle parole del responsabile del dicastero di via XX Settembre Roberto Gualtieri, che segnalava l’obiettivo di “aumentare il coinvolgimento di investitori retail domestici” per “collocare in modo efficace” una parte del debito aggiuntivo reso necessario dalla crisi.
Ed è notizia proprio di questi giorni che il ministero dell’Economia lancerà tra un mese un nuovo Btp Italia, per finanziare il deficit aggiuntivo derivante dell’emergenza Covid, della durata compresa tra 4 e 8 anni che verrà fissata alla vigilia dell’emissione. Allo studio dei tecnici vi sono gli incentivi per premiare i piccoli risparmiatori (neutralizzazione fiscale, detrazioni per le persone fisiche), ma rimangono sul tappeto molteplici aspetti da tenere in considerazione.
L’ultimo precedente in cui i risparmiatori italiani furono “chiamati in causa” risale al 2011 in piena crisi dei debiti sovrani. Come incentivazione alla partecipazione dei cittadini, lo strumento prevedeva il riconoscimento di un “premio fedeltà” pari al 4 per mille lordo sul valore nominale dell’investimento nel caso di acquisto all’emissione e detenzione fino alla scadenza.
Questa nuova emissione avverrebbe, tuttavia, in un contesto finanziario profondamente mutato rispetto a quello di nove anni fa almeno per due ordini di motivi.
Il primo attiene alla sospensione del Patto di stabilità consentendo ai singoli Paesi di derogare dai parametri di Maastricht e incrementare anche sostanzialmente il deficit di bilancio.
Il secondo elemento, ancor più incisivo, è l’enorme piano di emergenza da 750 miliardi (Pepp) stanziato dalla Bce per acquistare il debito emesso dai Paesi dell’area euro. La flessibilità dello strumento nei tempi e nella dimensione mensile degli acquisti garantirà un efficace contenimento dello spread, condizione imprescindibile per permettere a paesi come l’Italia di affacciarsi con relativa fiducia sul mercato dei capitali nei prossimi mesi.
Al di là degli strumenti finanziari che la Commissione europea metterà in campo nelle prossime settimane per aiutare i paesi colpiti dalla pandemia, l’Italia sarà obbligata a tenere alta la fiducia del mercato e degli investitori per raccogliere tutte le risorse utili a rimettere in marcia l’economia.
A fronte di un indebitamento pubblico già molto significativo (134,8 per cento del pil nel 2019), l’Italia esibisce, storicamente, tra i più alti livelli di risparmio privato nel mondo.
A fine 2017 la ricchezza netta delle famiglie italiane era pari a 9.743 miliardi di euro, 8 volte il reddito disponibile. Come metro di paragone si consideri che in Germania tale rapporto si ferma al 6,1.
Le attività finanziarie (il 44,9% dell’intera ricchezza) hanno raggiunto 4.374 miliardi di euro, a fronte dei 3.898 miliardi di euro del 2005 (+12%). L’incremento tuttavia è determinato quasi esclusivamente dalla quota di liquidità e depositi (+49%).
Un risparmio privato significativo, ma poco avvezzo all’investimento sui mercati finanziari: le stime più recenti dell’Abi riportano come la quota di debito pubblico posseduto in via diretta dai risparmiatori italiani sia circa il 3%, in termini assoluti una cifra pari a 72 miliardi di euro e solo l’1,6% della ricchezza privata sotto forma di attività finanziarie. A differenza di quanto accadeva negli anni ottanta-novanta gli italiani “delegano” l’esposizione al mercato di debito domestico a fondi comuni, banche, assicurazioni anche di provenienza straniera. Ragione per cui l’esposizione indiretta rimane comunque importante da un punto di vista quantitativo, ma disperde quella valenza di significato propria di un investimento diretto.
È possibile pensare a un ampliamento della quota di debito pubblico in mano agli italiani a fine 2020?
Utilizzando le stime del Def che prevedono una caduta del pil per quest’anno intorno all’8% e un debito pubblico che inciderà per il 155,7%, per mantenere inalterata la quota attuale del 3%, l’ammontare detenuto dalle famiglie italiane dovrebbe salire di 5 miliardi a 77 miliardi di euro circa.
Per raddoppiare la tale quota e portarla al 6%, gli italiani dovrebbe ampliare l’investimento di ulteriori 81 miliardi, impiegando meno del 2% del proprio reddito finanziario, il 6% dell’ammontare attualmente allocato su depositi e liquidità. Naturalmente si tratterebbe di un prestito, un finanziamento verso lo Stato per far fronte a una situazione emergenziale: un investimento sulla ripresa.
Le stime proposte sembrano indicare l’esistenza di uno spazio per l’incremento degli investimenti privati a sostegno diretto del debito pubblico, anche alla luce del fatto che la grande ondata di liquidità immessa nella economia mondiale rischia di svalutare i risparmi dormienti in caso di ripresa dell’inflazione nel medio termine.
Dalla prospettiva del cittadino italiano sottoscrittore dei titoli di stato, al vantaggio di un rendimento che sui 10 anni si attesta attorno al 2% (quando la maggior parte dei paesi euro offrono rendimenti zero se non negativi) si deve aggiungere la consapevolezza “sociale” di segnalare fiducia verso la prospettiva futura del Paese. Il contenimento del debito pubblico sarà (di nuovo e in modo ancor più urgente) la grande sfida del prossimo futuro e avere la fiducia dei cittadini nelle capacità dello Stato di farvi fronte rappresenta un elemento di forza sul mercato.
*ricercatori Nomisma