(foto LaPresse)

Idee per non aver paura del futuro

Un ecosistema favorevole può smuovere 300 miliardi di euro

Stefano Cingolani

Un paese che crea fiducia crea anche ricchezza. E’ ora di sbloccare l’Italia e quei 2 mila miliardi. Parla Foti, ad di Fineco

Roma. Un balzo nel mondo digitale con una accelerazione davvero impressionante; una nuova cultura finanziaria che consenta di mettere a frutto la grande risorsa italiana: il risparmio; una nuova organizzazione del lavoro e delle imprese; riflettori accesi sulle locomotive della ripresa: le infrastrutture a cominciare da internet, l’autostrada del mondo nuovo; la sanità; l’istruzione. La tragedia immane nella quale siamo immersi può essere una grande occasione, come tutte quelle che si sono presentate nella storia e hanno aperto le porte a grandi trasformazioni. Ne è più che mai convinto Alessandro Foti, amministratore delegato della Fineco: “L’Europa nella quale siamo vissuti, la lunga era di pace e prosperità, è cominciata dalle macerie della seconda guerra mondiale, oggi siamo di fronte a un’altra svolta e l’Italia può uscirne più solida e moderna”. Il pioniere di un nuovo modo di gestire il risparmio, con un rapporto diretto e nello stesso tempo remoto tra clienti, gestori, consulenti, innovazione assoluta per l’Italia vent’anni fa, spiega al Foglio che la Fineco si è concentrata su come assicurare condizioni di lavoro a collaboratori e clienti, che consentano la massima sicurezza, tuttavia il confinamento è stato l’occasione per riflessioni di medio periodo sull’azienda del prossimo futuro, sempre più dematerializzata. “Fineco nasce digitale, ma quello che allora era sperimentale adesso è diventato il modo principale di comunicare. Le imprese diventano più efficienti con questa nuova modalità la cui trave portante è l’utilizzo preponderante dei canali digitali. La storia ci mostra che eventi tragici e dolorosi si trasformano in acceleratori giganteschi”, aggiunge Foti il quale sottolinea i risultati positivi che la sua azienda sta registrando anche in questo periodo.

 

 

L’uscita da Unicredit, nel 2019, ha dato una spinta, è come se Fineco si fosse liberata. “E’ stato un azionista rispettoso – precisa Foti – non ho nulla di cui lamentarmi. Certo è che fuori dal gruppo abbiamo guadagnato flessibilità, agilità, capacità di reagire immediatamente ai cambiamenti. Diventare indipendenti è stato fondamentale. E’ come correre la maratona con uno zaino pesante sulle spalle oppure senza zaino”. E’ un messaggio che vale per il sistema bancario nel suo insieme? Non ci vogliono banche più grandi? In fondo quelle italiane restano di piccola taglia rispetto alle concorrenti europee. “Il messaggio – replica Foti – non è avere aziende più grandi, ma aziende diverse. Era già chiaro prima di questa crisi che il futuro sta in più digitalizzazione e meno filiali, ma la pandemia ha fatto da moltiplicatore. La ristrutturazione richiede al sistema bancario tradizionale uno sforzo straordinario anche perché coincide con la recessione”. Le banche sono strette in una morsa: da una parte trasformate in ospedali della crisi, dall’altra appesantite dal debito pubblico e dai crediti deteriorati. “Il mercato dei capitali in Italia è poco sviluppato. Nel Regno Unito la capitalizzazione della borsa è pari al 130% del prodotto lordo, quindi le imprese si alimentano attraverso il mercato finanziario; in Italia questa quota è del 30% appena, quindi le attività economiche sono finanziate dalle banche”. Insomma, restiamo un paese bancocentrico. “Non può essere altrimenti se la borsa non cresce. E’ inevitabile, dunque, che la recessione si scarichi immediatamente sulle banche”. Ma questo provoca anche una ulteriore distorsione nell’impiego del risparmio.

 

E’ un punto che sta particolarmente a cuore ad Alessandro Foti. La crisi spinge alla massima cautela, a tenere i soldi sotto il materasso. Ci sono 1.500 e più miliardi di euro nei conti correnti che non fruttano un centesimo. “L’Italia ha un grande risparmio non solo un grande debito. Ma anche una cultura finanziaria che resta ancora arretrata rispetto ad altri paesi. Facciamo qualche conto. La ricchezza patrimoniale delle famiglie italiane ammonta a circa 10 mila miliardi di euro; 5,5 sono investiti in case e terreni, 800 miliardi sono partecipazioni finanziarie, mille miliardi vanno a fondi pensione e Tfr, dunque restano 2 mila e 600 miliardi che, come si vede, è più del debito pubblico. Se venissero impiegati in modo tale da fruttare l’un per cento in più, i risparmiatori otterrebbero 26 miliardi l’anno che in dieci anni, con l’effetto della rivalutazione, arriverebbero a 300 miliardi. E’ una stima prudente, perché si può fare di meglio”. Invece il risparmio privato viene risucchiato dal debito pubblico e si crea un circolo vizioso. “Può non essere vizioso. A meno che non si pensi a un prestito forzoso. Mi auguro di non vedere mai questo scenario perché saremmo sull’orlo del crac, comunque penso che sia una eventualità molto remota. Dunque, è possibile emettere buoni del tesoro a condizioni invitanti per i risparmiatori, ma offrire un tasso più elevato è una condizione non sufficiente. Sarebbe un progetto interessante se si dicesse che i nuovi titoli servono a finanziare investimenti nelle infrastrutture e nei settori strategici per la ripresa. Se stampo buoni per 100 euro, ma servono a produrne 200 allora il circuito diventa virtuoso”.

 

Si dice che il risparmio italiano è minacciato e va protetto. “Minacciato da chi, dagli stranieri? E’ minacciato dal comportamento dei risparmiatori. Quanto agli stranieri, si sono già appropriati di una buona fetta di risparmio perché l’Italia ha perduto l’industria del risparmio gestito. Le aziende sono emigrate visto che hanno trovato condizioni migliori”. Incentivi fiscali? “Non solo e non sono i più importanti. La Francia non è l’Olanda, eppure Amundi è la numero uno in Europa”. Allora cosa si deve fare? “Creare un ecosistema favorevole, in termini di norme, regolamentazioni, interlocuzioni fluide. E’ il concetto del distretto, come per l’industria manifatturiera, e dovrebbe valere anche per l’industria del risparmio”. E’ stata un’occasione perduta, può diventare un’occasione ritrovata; un altro pensiero al mondo che verrà, a come saremo o meglio a come potremmo diventare. Foti è tutt’altro che apocalittico, anzi guarda con l’ottimismo della ragione al prossimo futuro. “Stiamo costruendo un ponte che ci porti fuori dalla pandemia e facciamo in modo che regga, ma nello stesso dobbiamo creare le condizioni per una grande modernizzazione del paese”.

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