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Parlare di condivisioni, non di condizioni. Così Conte può usare il Mes

Veronica De Romanis

Nessuno di chi oggi dice “no al Mes” dice anche “no al Sure” o “no al Recovery Fund”. Il problema, quindi, sembra più legato alla propaganda che alla sostanza

In ambito europeo, il governo italiano sta seguendo una strategia che si sta rivelando fallimentare. Il premier Conte continua a dichiarare “si Eurobond, no Mes,”, ma ciò che è stato stabilito all’eurogruppo della settimana scorsa è esattamente l’opposto: “No Eurobond si Mes”. La decisione finale spetta ai capi di stato e di governo che si riuniranno il prossimo 23 aprile. Conte ha dichiarato di voler mantenere la sua posizione iniziale. Il rischio di un secondo flop è, però, concreto perché perseverare con la stessa strategia significa commettere due ordini di errori: uno di tempistica e uno di comunicazione.

 

In primo luogo, la tempistica. Affermare che il governo appoggia gli Eurobond ma boccia il Mes (ma perché, poi, ostinarsi a spiegare strumenti complessi con slogan a effetto? La drammaticità del momento non richiederebbe qualcosa di più articolato?) significa confondere le pere con le mele. Il Meccanismo europeo di Stabilità è uno strumento che esiste già e che può essere attivato domani mattina. Nello specifico, per l’Italia sarebbero pronti circa 36 miliardi di prestiti: utilizzarli, ovviamente, non è obbligatorio. Gli Eurobond, invece, non esistono, vanno creati. Tale operazione richiede tempo perché prevede la messa in comune di risorse e, quindi, la creazione di un nuovo bilancio europeo, molto più corposo di quello esistente pari a solamente l’1 per cento del Pil. Richiede, inoltre, la messa in comune di competenze a livello europeo, il che necessita di una decisione politica. In particolare, Conte dovrà spiegare al Movimento 5 Stelle che l’Italia si appresta a cedere sovranità ossia a delegare a Bruxelles alcune decisioni in materia fiscale: siamo davvero sicuri che questo è ciò che vuole il Movimento? In ogni caso, una volta convinti tutti i paesi, la creazione di questo nuovo strumento richiederà passaggi di natura tecnica, legale e amministrativa. Ad essere ottimisti, bisognerà attendere almeno un anno per avere a disposizione i primi Eurobond. Il paese, però, non può permettersi il lusso di aspettare ancora. E questo Conte lo sa. Ma, allora, perché continuare a ripetere uno slogan privo di senso?

 

In secondo luogo, la comunicazione. L’avversione del Movimento 5 Stelle, della Lega e di Fratelli d’Italia (la posizione del Partito democratico – purtroppo – è ambigua) nei confronti del Meccanismo europeo di Stabilità è legata alla presenza di condizionalità. Secondo queste forze politiche il Mes non andrebbe attivato in nessun modo perché comporta il rispetto di impegni e, quindi, non lascia il governo libero di fare ciò che vuole con i prestiti ottenuti. C’è persino chi – come Matteo Salvini e Giorgia Meloni – si è spinto a affermare che nel caso in cui non ci fossero condizionalità nell’immediato, queste ultime verrebbero imposte (ma, poi, da chi? e, perché?) in un secondo momento (ma, quando? e come?). Insomma, il Mes sarebbe una trappola infernale da cui fuggire a gambe levate. Questo tipo di comunicazione sembra funzionare. Anche perché il governo non riesce a veicolare una comunicazione alternativa attinente ai fatti.

 

Eppure, basterebbe spiegare la logica sottostante l’erogazione di prestiti finanziati a livello europeo. Tutti i finanziamenti messi in campo dall’Europa - nessuno escluso – hanno una destinazione precisa. Gli Stati che ne beneficiano non possono usarli senza rispettare delle regole comuni. Devono attenersi alle decisioni prese dall’Europa ossia da tutti gli Stati inclusa l’Italia. Solo per fare qualche esempio, i prestiti che arriveranno nell’ambito del programma Support to Mitigate unemployment risks in an emergency (Sure) devono essere usati per la lotta alla disoccupazione, quelli della Banca europea per degli investimenti per progetti infrastrutturali specifici, quelli del nuovo European Recovery Fund – lo dice la parola– per la ricostruzione. Stessa logica vale per i fondi strutturali. Anche gli Eurobond – una volta creati – sarebbero legati ad un uso definito in sede europea. L’unico debito che uno Stato può utilizzare liberamente è quello emesso a livello nazionale. In passato, il ricorso al debito era vincolato al rispetto delle regole europee, anche se si poteva fare (ampio) ricorso alla flessibilità: questo è ciò che è stato fatto dal Conte 1 e dal Conte 2 per finanziare, ad esempio, Quota100. Dal 20 marzo scorso, queste regole sono state sospese. Gli stati possono emettere tutto il debito che riescono a vendere sul mercato. Buona parte di questo debito viene ora comprato dalla Banca centrale europea. Ma anche in questo caso, ci sono delle condizioni. La Bce compra solo debito di qualità ossia quello che non rientra nella categoria “spazzatura”. In altre parole, nessuno strumento - neanche il ricorso al debito - è privo di condizioni. Eppure, nessuno di chi oggi dice “no al Mes” (perché non vuole condizioni) dice anche “no al Sure”, “no al Recovery Fund”, “no alla Bei” o “no al debito”. Il problema sembra, quindi, più legato alla propaganda che alla sostanza.

 

In questa settimana che ci separa dal Consiglio europeo, il premier Conte dovrebbe fare uno sforzo per capovolgere la comunicazione. Ad esempio, potrebbe cominciare a usare la parola “condivisione” al posto della parola “condizione”. Del resto, pasti gratis non esistono. La politica dovrebbe iniziare a capirlo. Gli italiani lo hanno capito da tempo.