Il premier Giuseppe Conte (foto LaPresse)

I liberi professioni e la missione impossibile del bonus da 600 euro

Barbara D'Amico

Il governo con il decreto liquidità ha introdotto una novità nelle regole di assegnazione. Così la già precaria procedura per chi con l’Inps non ha niente, o quasi, a che vedere, è piombata nel caos

La strada verso i 600 euro è lastricata di buone intenzioni che ordini professionali e casse previdenziali private faticano a mettere in pratica. Non per colpa loro, ma per una novità nelle regole di assegnazione del bonus che il decreto Cura Italia aveva garantito anche ai liberi professionisti. Nelle recenti disposizioni per irrobustire la liquidità a favore delle imprese, il governo ha introdotto un articolo, il 34, in cui chiarisce che a fare domanda per l'indennità stanziata a marzo possano essere certamente avvocati, ingegneri, architetti e via dicendo: purché iscritti in via esclusiva a una cassa ordinistica. Ovvero, i soldi può chiederli solo chi svolga la libera professione e nient’altro.

 

Queste poche righe hanno escluso dalla platea dei beneficiari del cosiddetto Fondo per il reddito di ultima istanza migliaia di autonomi che oltre al proprio lavoro principale abbiano, ad esempio, contratti di docenza o di collaborazione para dipendente e quindi risultino iscritti contemporaneamente anche all’Inps. Persino i medici liberi professionisti rientrano in questa categoria.

 

A completare il quadro c’è un ulteriore paradosso: chi lavora su più fronti non ha diritto a ottenere l’indennità tramite la propria cassa, ma non può neppure chiederla in alternativa all’Istituto nazionale di previdenza. La (già vecchia) normativa, infatti, ammette le richieste ai 600 euro solo da parte dei lavoratori co.co.co o simili che non siano iscritti a una cassa previdenziale obbligatoria, cioè le casse ordinistiche. Un girone infernale destinato a ripetersi fintanto che qualcuno non integri o corregga o l’una o l’altra disposizione.

Questo limbo ha chiaramente scatenato il malcontento degli ordini e delle casse professionali, costrette a bloccare le erogazioni basate sui precedenti criteri - difficile, infatti,  stabilire adesso chi abbia doppia iscrizione e chi no -. “Tale novità ha obbligato i diversi enti, ivi compresa la Cassa dei Dottori Commercialisti, a  bloccare il pagamento dell’indennizzo di 600 euro a tutti gli iscritti non potendo, sulla base delle istanze correttamente presentate, individuare coloro che risultano avere altra posizione previdenziale”, spiega in una nota la cassa di previdenza dei commercialisti che è stata costretta a “sospendere le circa 25mila domande, per le quali era stato disposto il relativo pagamento già per la giornata di domani (10 aprile ndr)”.

Eppure la precisazione su come e con quali criteri spartire le indennità era stata richiesta dagli stessi ordini e dall’Adepp  più volte dopo l’approvazione del decreto del 17 marzo.

Sarebbe bastata una snella circolare per chiarire chi poteva fare domanda, e invece la già precaria procedura di assegnazione delle risorse destinate proprio a chi con l’Inps non ha niente, o quasi, a che vedere, è piombata nel caos.

 

Anche chi è regolarmente iscritto a una sola cassa professionale e ha inoltrato domanda, con successo, prima di ricevere il bonus dovrà ora integrare la vecchia modulistica con un’autocertificazione per chiarire che non ha il piede in due o più staffe. Come se il problema fosse appunto avere più lavori, anche precari, e più casse in cui versare i contributi, pur rientrando nei requisiti di reddito e di calo degli affari previsti dalla normativa. Che, va ricordato, non ha ammesso chiunque tra i liberi professionisti ai 600 euro, ma solo chi abbia redditi medio-bassi.

 

Nel disegno dell’esecutivo, limitare la platea destinataria del Fondo evita richieste multiple a più enti da parte di una stessa persona. Un’esigenza legittima, di contenimento. Lo prova il fatto che il divieto di cumulo delle indennità fosse già presente nel decreto Cura Italia proprio per controllare gli esborsi, evitando di fornire più sponde ai cosiddetti furbetti dell’emergenza coronavirus, ma che rende ora più difficile per chi ne ha bisogno ottenere aiuti.

 

La dotazione destinata agli autonomi, infatti, è di 300 milioni di euro in tutto, rifinanziabili, mentre le richieste pervenute alle casse in questi giorni hanno superato le 420 mila unità. Un numero consistente per una somma contenuta e che, proprio per questo, testimonia come a fare domanda siano i profili maggiormente esposti alla crisi. Gli stessi che dovrebbero godere di tutele e coperture al pari degli altri lavoratori. Invece, con i professionisti, il governo sembra a tratti voler giocare ad Achille e la tartaruga. Un paradosso ben diverso dal motto “nessuno sarà lasciato indietro”.

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