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È ora di riportare l'Italia al lavoro. Idee per ripartire. Subito

Annalisa Chirico

Bottura, Cairo, Scaroni, Bonometti, Farinetti. Cosa va fatto per salvare l’Italia. Un girotondo di opinioni

Roma. Urge strategia per l’unlocking. Chiudere è facile, riaprire è un’impresa, qualcuno storce il naso se ti azzardi a parlarne, Matteo Renzi è stato travolto dalle critiche per aver detto: “Riapriamo il paese”. L’economia non si accende e spegne come una lampadina, come ha ricordato ieri sul Foglio il presidente di Assolmbarda Carlo Bonomi, e il rischio è che la pandemia si trasformi in carestia. Servono misure graduali, certo, differenziate su base territoriale e anagrafica, ma per tornare a liberale gli spiriti animali prima che sia troppo tardi come si fa? “L’ospitalità e la ristorazione sono assi portanti della nostra identità”, dichiara al Foglio lo chef degli chef, Massimo Bottura. “La cucina, come i mercati, rappresenta la cultura di un popolo: attorno a un microristorante come l’Osteria francescana a Modena abbiamo sviluppato un turismo gastronomico che porta migliaia di famiglie a trascorrere un paio di giorni in giro per l’Emilia. Negli ultimi cinque anni sono nati nella zona più di ottanta b&b, e adesso, a non più di un mese dalla quarantena, qualcuno è stato messo in vendita. Maggio mi sembra una data auspicabile per la ripartenza: immagino una stagione di rinascita dove ogni riapertura – di aziende, musei, luoghi simbolici – diventerà un evento eccezionale da festeggiare insieme con il risalto che merita”. Intanto siamo all’ecatombe per bar e ristoranti. “Nella ristorazione media in pochi hanno sufficiente fieno in cascina per superare indenni una fase prolungata di fermo. La forza principale che ci ha sempre sostenuto è il sogno, non il guadagno, ma senza liquidità la maggior parte di queste attività è costretta a chiudere i battenti, con una incredibile perdita di identità per il paese intero. Le due parole chiave sono liquidità e velocità: come paghi gli stipendi con incassi azzerati? Contro il rischio di una depressione profonda, servono stimoli coraggiosi per ripartire e non ritrovarci da soli nelle nostre case. Io non sono un politico ma penso che nella fase che si apre, una volta archiviata l’emergenza sanitaria, l’unica persona in grado di intavolare un dialogo proficuo a livello internazionale, con la credibilità necessaria per reperire ingenti risorse, sia Mario Draghi”.

 

“Mi è capitato tra le mani un grafico elaborato da Deutsche Bank: quella in corso è la più grave crisi economica dai tempi della Seconda guerra mondiale”, parla così l’editore di Rcs e La7 Urbano Cairo, e il riferimento è alle stime di un calo di Pil italiano pari a 8,7 punti percentuali, la flessione più consistente dal triennio 1943-45. “Continuiamo a fornire servizio pubblico con i nostri programmi tv, quotidiani e periodici, del resto le persone sono chiuse in casa, vogliono informarsi e hanno più tempo per guardare la tv e leggere”, ci spiega Cairo che scandisce le giornate tra casa e ufficio, e a sera raggiunge il direttore Luciano Fontana in via Solferino. “Noi non incassiamo un centesimo di canone, dunque dobbiamo serrare i ranghi per garantire lo stipendio a ogni dipendente e tenere alto il contributo della pubblicità”. Si può cominciare a ragionare di riapertura? “Mi sembra doveroso e urgente. Sono stato tra i primi, già l’8 marzo, a invocare la chiusura per difendere l’Italia dal contagio proveniente dalla Cina, in quei giorni le proiezioni lasciavano presagire uno scenario da incubo, con oltre 400 mila contagiati alla fine del mese. Adesso però si apre una fase nuova e dobbiamo immaginare un graduale unlocking: l’Italia non può restare ferma indefinitamente. La ripartenza sarà, per forza di cose, graduale e modulata: si potrebbe, per esempio, dare la priorità agli under 65 e alle donne che sono in media meno contagiate degli uomini. Come sostiene il ministro della Difesa israeliano Naftali Bennett, insieme al distanziamento sociale va garantita la separazione tra anziani e giovani. Seguendo poche linee guida, e con la consapevolezza che con il virus convivremo a lungo, possiamo riprendere una vita quasi normale”. Il premier Giuseppe Conte ha prolungato la chiusura al 13 aprile, poi si aprirà una “fase due” dai contorni incerti, che come ha ricordato ieri il capo della protezione civile Borrelli potrebbe durare a lungo, anche a maggio inoltrato. “Terminata la crisi epidemica, ci sarà da gestire quella economica: siamo un paese del G7, servono i fatti. La Francia ha messo sul tavolo un piano da 300 miliardi: l’Italia non può cavarsela con poche briciole. Dobbiamo rialzarci tutti insieme, per questo dico al governo: gettate il cuore oltre l’ostacolo. Serve un impulso forte all’economia, le imprese hanno bisogno di liquidità e, a tale scopo, le banche devono poter contare su garanzie statali adeguate”. Il settore automotive, che rappresenta, con i suoi 250 miliardi, circa la metà dell’export italiano, ha registrato un calo di oltre l’85 per cento. “E’ uno scenario allarmante. La crisi attuale, che investe sia la domanda che l’offerta, si preannuncia peggiore di quella del 2008. Ricevo migliaia di messaggi da parte di imprenditori che mi dicono: noi vogliamo andare avanti ma, stando chiusi, come facciamo a pagare dipendenti e fornitori? Gli adempimenti fiscali vanno congelati, almeno per sei mesi o, comunque, fino a quando non saremo usciti dall’emergenza. E poi serve un grande piano di opere pubbliche: i 25 miliardi già stanziati, anche se raddoppiassero, sarebbero largamente insufficienti”. Da più parti, si fa il nome dell’ex presidente della Bce Mario Draghi per traghettare l’Italia fuori dal pantano economico. “E’ bene serrare i ranghi chiamando a raccolta le migliori personalità italiane. Draghi si è distinto per una straordinaria competenza in ogni incarico ricoperto”. Dopo un Consiglio europeo disastroso, si attende a giorni una strategia da Bruxelles. “L’Unione europea è a un punto di svolta: se non mostra lungimiranza e solidarietà, rischia di implodere. Ci aspetta uno sforzo comune di totale ricostruzione che non riguarderà solo l’Italia ma anche gli altri partner europei, per questo gli ‘eurobond’ o ‘coronabond’ mi sembrano uno strumento eccezionale da adottare in fretta. Ciò detto, l’Italia si rialzerà in ogni caso: io sono un ottimista per natura, e gli italiani sono un grande popolo, pieno di immaginazione e voglia di combattere”. Un Cairo sempre più “politico” nell’analisi, si direbbe. “Per adesso continuo a fare l’editore, del domani non ho certezza”.

 

“L’Europa è l’attore più debole sulla scena globale. La Cina ne esce forte, sta già ripartendo e avrà un pil positivo anche nel 2020”, Paolo Scaroni parte dallo scenario geopolitico grazie al suo reticolo di relazioni e cda internazionali. Secondo l’attuale deputy chairman di Rothschild Group, già ceo di Enel e Eni, “i regimi meno democratici e mediatici si sono mostrati meglio equipaggiati nella gestione della crisi epidemica. La Russia mi sembra in una posizione di forza, ha riserve valutarie stimate in 550 miliardi di dollari e può contare sulla stabilità politica nel nome di Vladimir Putin. Mentre non sono certo che la Cina aspiri ad assumere un ruolo geopolitico di rilievo, mi pare assodato che la Russia miri a questo”. L’ultimo Consiglio europeo si è concluso con un nulla di fatto e l’ennesimo rinvio. “Nello scenario migliore dovrebbe essere la Bce a garantire una emissione di coronabond. Affrontiamo una crisi epocale che richiede strumenti eccezionali. La sospensione del Patto di stabilità, unitamente all’acquisto massiccio di titoli da parte della Bce, rappresenta un aiuto straordinario per evitare l’ennesima infiammata dello spread. Ma se fossi tedesco o olandese mi chiederei perché devo farmi carico di paesi che hanno fatto salire il loro debito interno; ciò non toglie che, se l’Italia entra in una crisi spaventosa, è un problema anche per il resto dell’Europa e per quei paesi da cui importiamo”. Il debito pubblico, eterna croce italica. “Siamo un paese iperindebitato anche a causa di misure come il reddito di cittadinanza e quota 100 che hanno fatto lievitare la spesa pubblica improduttiva senza alcuna attenzione per gli investimenti. Da almeno vent’anni i vari governi che si sono alternati hanno disatteso la promessa di ridurre il debito. Quando saremo fuori dall’emergenza sanitaria, i nostri governanti futuri si sentiranno autorizzati a prendere qualsiasi provvedimento fiscale come l’aumento dell’Iva o la patrimoniale. Il rapporto indebitamento/Pil potrebbe sfiorare il 200 percento, come risultato di un Pil che diminuisce e di un debito che lievita”. Uno scenario cupo. “Io resto un ottimista: noi italiani sappiamo rimboccarci le maniche nei momenti difficili. Bisogna progettare subito la riapertura, magari per fasce d’età, gli under 50 per esempio potrebbero tornare rapidamente alla vita normale. Convivremo con il virus ancora per molti mesi ma l’economia non può restare ferma a lungo. Mi sembra una buona idea quella lanciata dal governatore del Veneto Luca Zaia, forse colui che ha dimostrato la migliore capacità di gestione: il patentino dell’immunizzato, in seguito a un test sierologico, potrebbe essere uno strumento utile per ripartire”. Come giudica l’operato del governo Conte? “Molti annunci e pochi fatti, manca una strategia chiara per uscire dall’emergenza economica”. Che succede al Campionato di calcio? “Da presidente del Milan, mi auguro che presto le partite si possano tornare a disputare, con modalità nuove e a porte chiuse”.

 

“A forza di chiacchiere il paese va alla deriva”, è tranchant Marco Bonometti, numero uno di Confindustria Lombardia, presidente e ceo di Officine Meccaniche Rezzatesi. “Si discute ancora delle mascherine, si rende conto? Il nostro paese deve ritrovare la credibilità che ha perduto. E’ inutile che s’improvvisino tutti finanzieri e filosofi, qui servono soldi veri. Quando l’India ha bloccato la spedizione di mascherine, ho sollecitato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ma purtroppo non siamo in grado di farci valere, non contiamo più niente. Non so quante aziende sopravvivranno all’emergenza sanitaria ed economica. Come Francia e Germania, anche il nostro governo deve mettere sul tavolo risorse ingenti per fornire le garanzie alle banche: senza liquidità, le aziende saranno costrette a chiudere e a licenziare. Per sei mesi o un anno vanno sospesi i modelli F24, sgraviamo di oneri le imprese”. Intanto Beppe Grillo propone un reddito di base universale. “Basta cretinate, altrimenti finiremo sul lastrico. Ho paura che molti non si rendano conto della gravità del momento. Quando il governo ha tirato fuori i codici Ateco, mi sono cadute le braccia: valevano quarant’anni fa ma oggi le filiere sono trasversali. I nostri governanti sembrano fuori dal mondo. Gli interventi a pioggia vanno evitati, concentriamo le risorse per salvare l’industria. E ricordiamoci che lo stato deve pagare ai privati oltre 80 miliardi di debiti”. Lei è per la riapertura immediata. “Io sono sempre stato contrario al blocco totale, un filo di produzione doveva restare attiva. Oggi in Lombardia opera il trenta per cento delle aziende, seppure a ritmi ridotti. Non si può chiudere l’industria, un minimo di produzione va proseguita rispettando le prescrizioni di sicurezza e distanziamento. Mentre noi chiudiamo, i nostri competitor europei continuano a produrre e ci sfilano gli ordinativi. Mentre la Germania sfodera un bazooka da 500 miliardi per le imprese, noi parliamo di dare un reddito a tutti, con i sindacati che sembrano fermi all’ideologia del padronato contro il proletariato. I clienti stranieri, di fronte all’incertezza italiana, si rivolgono alle fabbriche di altri paesi: se un prodotto non mi arriva più dall’Italia, lo acquisto altrove. In Cina, dove la mia azienda opera, il blocco è stato totale e omogeneo in ogni regione, senza problemi di concorrenza sleale. Noi invece dobbiamo difenderci dalla concorrenza di quei paesi europei che hanno sigillato i cittadini in casa ma hanno lasciato aperte le fabbriche”.

 

“Prima di tutto c’è la vita delle persone”, dichiara al Foglio il presidente di Coldiretti Ettore Prandini che vive la quarantena nazionale a Brescia. “Conosco decine di famiglie che hanno perso un familiare, anche giovane. Con questo enorme dolore nel cuore, dobbiamo riprendere il filo delle nostre attività e progettare il rilancio del paese. Non appena si sarà conclusa l’emergenza sanitaria, il governo dovrà occuparsi di quella economica con un fondo di garanzia adeguato, servono decine di migliaia di euro. Vanno rilanciati tutti i settori produttivi per garantire occupazione e lavoro. Lo abbiamo detto a chiare lettere al premier Conte, e speriamo di essere ascoltati: non è il momento di preoccuparsi del debito, in assenza di interventi massicci ci ritroveremmo in ogni caso con un debito lievitato e con un gettito fiscale ridotto per via del fallimento di migliaia di aziende. Il nostro è un appello anche all’Europa: nessuno si sogni adesso di tagliare i fondi della Pac. Che si chiamino ‘eurobond’ o ‘coronabond’, vanno prese misure straordinarie: se prevalesse l’egoismo di pochi contro l’intera comunità europea, sarebbe una sciagura”. L’agroalimentare è tra i pochi comparti rimasti attivi: soffrite meno di altri. “Nel nostro caso, i settori danneggiati sono il florovivaistico, il vitivinicolo e la pesca, mentre si registra una tenuta di zootecnico e ortofrutticolo, essendo destinati al consumo alimentare e alla grande distribuzione. Le eccellenze italiane subiscono il calo delle esportazioni”. La concorrenza europea sembra vieppiù spietata: i filmati sulla pizza contaminata, insieme alle strambe richieste di certificati virus-free, sono tentativi di concorrenza sleale. “Nelle prime settimane, alcuni stati membri, illudendosi che il contagio sarebbe rimasto entro i confini italiani, hanno cercato di speculare sull’avversità, volevano approfittare del frangente drammatico per trarre un vantaggio commerciale ed economico. In Veneto alcune aziende vitivinicole si sono viste richiedere un certificato che attestasse l’assenza di virus dal prodotto. Nelle ultime settimane, ad esser sinceri, abbiamo dovuto fronteggiare una miriade di espedienti, ai limiti del volgare, per danneggiare le imprese italiane, e gli attacchi più spregiudicati sono venuti dai competitor europei e non extraeuropei. Ci tocca constatare, con rammarico, che l’Ue ha esitato a lungo prima di esprimere una condanna di tali comportamenti”.

 

Per il presidente di Federacciai Alessandro Banzato, numero uno di Acciaierie Venete, non è affatto prematuro pensare alla ripartenza. “La riapertura, per quanto lenta e graduale, deve iniziare adesso. Le fabbriche non saranno operative al massimo della capacità produttiva e dovranno garantire il pieno rispetto delle norme di sicurezza e di distanziamento sociale affinché il pericolo di contagio sia minimizzato. Ma in ambienti sanificati, muniti di guanti e mascherine, si può tornare a lavorare”. Le acciaierie italiane sono ferme. “Nella bozza iniziale del primo Dpcm eravamo inclusi tra i codici Ateco abilitati all’attività, poi siamo stati inspiegabilmente esclusi dal novero delle attività essenziali. A nostro giudizio, è stato un grave errore: c’è un problema di filiera, l’acciaio è ovunque, l’altro giorno una famosa azienda che produce letti per ospedali lamentava la carenza di acciaio. E poi c’è il tema della concorrenza straniera che non attende i tempi del virus: mentre noi siamo bloccati, buona parte della produzione tedesca marcia spedita; Slovacchia, Polonia e Repubblica ceca continuano a operare e ci rubano i clienti. Questa attesa, mista alla totale incertezza in cui ci muoviamo, provoca un enorme danno. Spero che il governo sia in grado di agire in modo incisivo: urgono garanzie statali per le banche che finanziano le imprese fino al venticinque percento del fatturato dell’anno precedente. Se si mette da parte l’intervento della Bce, con il suo piano di acquisto titoli per 750 miliardi di euro, l’Europa è assente. Lo dico da europeista convinto: se l’Ue mancasse questa prova, sarebbe una sciagura per il progetto europeo. Dopodiché l’Italia si rimetterà in piedi in ogni caso: io, da imprenditore, non posso che essere un ottimista: abbiamo mezzi e risorse per riguadagnare le posizioni perdute”.

 

Per Oscar Farinetti, patron di Eataly, “parlare di rinascita prima ancora di essere usciti dall’emergenza mi sembra giusto e necessario. Non esiste altro modo di vivere le catastrofi se non attraverso due sentimenti: la speranza, che ci mantiene in una condizione proattiva, e la fiducia che consiste nel credere nelle potenzialità personali e degli altri. Piuttosto che offrire l’ennesima ricetta, preferisco citare le parole di Beppe Fenoglio tratte dal suo libro ‘Una questione privata’: ‘Certo che è terribilmente lontano, ma almeno, detto da un ragazzo serio e istruito come te, è un termine. E’ solo di un termine che ha bisogno la povera gente. Da stasera voglio convincermi che a partire da maggio i nostri uomini potranno andare alle fiere e ai mercati come una volta, senza morire per la strada. La gioventù potrà ballare all’aperto, le donne giovani resteranno incinte volentieri, e noi vecchie potremo uscire sulla nostra aia senza la paura di trovarci un forestiero armato. E a maggio, le sere belle, potremo uscire fuori e per tutto divertimento guardarci e goderci l’illuminazione dei paesi’”. Sarà maggio, dunque, l’inizio della Rinascita? “Diamoci un termine, la stessa data di quei tempi partigiani: il 25 aprile. Meglio cannarlo che non avere un obiettivo. I numeri dei contagiati e dei guariti di questi ultimi giorni ci aiutano nel sentimento della speranza. Per quanto riguarda la fiducia in sé ricordo che nel 1606, a causa della pestilenza, a Londra i teatri furono chiusi, William Shakespeare fu costretto a chiudersi in casa e, non avendo di meglio da fare, scrisse Macbeth e King Lear. Un altro esempio? Nel 1665 a Cambridge divampava la peste bubbonica, allora Isaac Newton fu costretto per mesi a chiudersi nella sua cameretta universitaria; si mise a pensare e inventò la teoria della gravità. Infine, per quanto riguarda la fiducia negli altri, invito chi ci legge a fermarsi a pensare a quella volta che qualcuno ha dimostrato di avere fiducia in voi. Ma quanto è stato bello! Ebbene, sdebitatevi. Oddio, ho dato anche io una ricetta. Ma è piccolina e poi non volevo, mi è scappata. Perdonatemi”.

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