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Hong Kong sperimenta l'helicopter money, ma i precedenti sono scoraggianti

Luciano Capone

Il governo locale accrediterà a ciascun cittadino maggiorenne 10 mila dollari locali (circa 1.300 dollari americani o 1.200 euro)

Roma. A fine anni Novanta il premio Nobel per l’Economia Milton Friedman in un articolo dal titolo “l’esperimento Hong Kong” descrisse la brillante performance economica nel Dopoguerra dell’ex colonia britannica rispetto a quella di Regno Unito, Israele e Stati Uniti come un esperimento naturale per valutare l’efficacia delle politiche di libero mercato. Ora, dopo 20 anni, è Hong Kong a testare “l’esperimento Milton Friedman”. La regione, nel frattempo passata sotto il controllo della Cina comunista, ha deciso di testare l’Helicopter money, una politica monetaria non convenzionale ipotizzata dall’economista di Chicago come esperimento teorico in caso di situazioni estreme: “Supponiamo che un giorno un elicottero sganci dal cielo 1.000 dollari in banconote che, ovviamente, vengono raccolte in fretta dai membri della città. Supponiamo inoltre che tutti siano convinti che si tratti di un evento unico che non si ripeterà mai”.

 

Hong Kong si appresta a tentare una misura del genere per risollevare un’economia colpita prima dalla guerra dei dazi, poi (in misura minore) dalle proteste antigovernative, e poi dagli effetti del coronavirus. L’economia dell’ex colonia britannica è entrata in recessione (-1,2 per cento nel 2019) per la prima volta dopo la grande crisi finanziaria: con il prossimo pacchetto di misure di stimolo all’economia, il governo locale accrediterà a ciascun cittadino maggiorenne 10 mila dollari locali (circa 1.300 dollari americani o 1.200 euro).

 

Come detto, l’economia di Hong Kong ha subito una battuta d’arresto a causa delle manifestazioni di protesta dell’anno scorso, che si sono trascinate a lungo anche con scontri violenti con le forze dell’ordine, producendo un calo in diversi settori, primo fra tutti il turismo dalla Cina continentale. Alla crisi socio-politica locale si è aggiunta la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, che ha colpito in maniera forte una città come Hong Kong che è un centro nevralgico di interscambio commerciale. Infine con l’arrivo da Wuhan dell’epidemia di coronavirus – a Hong Kong sono stati registrati circa 90 contagiati e 2 decessi – la città ha risentito un’ulteriore flessione nei suoi settori più importanti (turismo, business e finanza). La recessione del 2019 quindi è destinata a prolungarsi o ad aggravarsi. Le misura ha sicuramente l’obiettivo di invertire il trend di decrescita economica, ma nondimeno di avere un impatto analogo sul consenso politico dopo la repressione violenta delle proteste democratiche. Ma il governo controllato da Pechino è talmente impopolare che, molto probailmente, questa elargizione non sarà sufficiente a comprare la fiducia della popolazione.

 

Dal punto di vista formale, non si tratta di politica monetaria (finanziata cioè direttamente dalla banca centrale), ma di una misura fiscale (finanziata cioè in deficit). Ma, dal punto di vista sostanziale il risultato sarà indifferente, analogo a una monetizzazione del deficit, se la Banca centrale agirà sui titoli di stato attraverso operazioni di mercato aperto (come ha spiegato l’ex presidente della Fed Ben Bernanke nel suo discorso del 2002 in cui rilanciò l’idea di Friedman).

Funzionerà? I precedenti non sono molto incoraggianti. Quello che si avvicina di più è il caso del Giappone, che nel 1999 distribuì dei voucher che la popolazione avrebbe dovuto spendere entro sei mesi. I risultati furono tutt’altro che eccezionali e in questo caso – a differenza da quello giapponese – la somma non ha neppure una scadenza e pertanto può essere messa a risparmio, riducendo così gli effetti espansivi dell’elargizione. Probabilmente sarebbe stato più semplice ed efficace una tradizionale riduzione delle tasse.

 

In ogni caso sarà interessante guardare come andrà a finire l’esperimento di Hong Kong, tenendo però a mente i caveat che Friedman aveva posto sin dall’inizio. L’helicopter money per essere efficace deve essere una tantum, altrimenti la spinta diventa sempre più debole fino a trasformarsi in semplice inflazione. “Come con l’alcolizzato – scrisse poi Friedman per avvertire dei pericoli – ci vuole sempre più alcol (o moneta) per dare all’alcolizzato (o all’economia) la stessa spinta”. Ma il problema – o il dilemma – è proprio questo. La misura può essere efficace se viene usata solo una volta, ma una volta che si è dimostra efficace perché non continuare? Ecco, a quel punto, con la stampa di moneta come con l’alcol, il rischio è che poi è difficile smettere quando fa male.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali