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L'incertezza del diritto è l'unica certezza, investitori stranieri in fuga

Annalisa Chirico

Franco Gianni, avvocato d’affari internazionale, spiega cosa tiene lontano il business dall’Italia. Come cambiare

Roma. L’avvocato Franco Gianni fa parte di quella minoranza dorata che, all’interno di una professione affollatissima, si distingue per competenza, visione strategica e una straordinaria rete di relazioni internazionali. Fondatore con Gian Battista Origoni di uno dei più prestigiosi studi legali italiani, con 480 avvocati e diverse sedi nel mondo, Gianni è tra i massimi esperti di finanza strutturata e, negli ultimi anni, ha seguito da protagonista le principali privatizzazioni, grandi fusioni e quotazioni in Borsa. “La certezza del diritto – dichiara il principe del foro al Foglio – riveste una rilevanza primaria per soggetti che vivono a migliaia di chilometri di distanza, che conoscono poco il nostro paese e devono decidere dove effettuare investimenti da centinaia di milioni di euro. Il dubbio che l’Italia non dia le rassicurazioni basilari a stranieri interessati all’ingresso nel paese influenza scelte fondamentali per lo sviluppo economico. E, ovviamente, questo dato scoraggia gli stranieri ma non invoglia neanche gli imprenditori nazionali a sviluppare nuove attività o a rafforzare l’esistente”.

 

Con una crescita dello 0,3 per cento, l’Italia si conferma fanalino di coda in Europa. “Abbiamo bisogno di riattivare rapidamente un ciclo economico espansivo e, a mio avviso, non è sufficiente far riferimento solo ad un maggiore impegno statale negli investimenti infrastrutturali; dobbiamo ritornare ad attrarre anche capitali privati dall’estero oltre che rassicurare gli imprenditori domestici incoraggiandoli verso piani espansivi. A tale scopo, occorre ottimizzare alcuni fattori cruciali come la certezza del diritto, la riduzione dei tempi processuali e l’avvio di un serio e concreto processo di de-burocratizzazione”. Il vostro è uno studio internazionale, con sedi a Londra, Shangai, Abu Dhabi… Lei stesso è iscritto all’Ordine degli avvocati di Roma e al New York Bar. Insomma, avete una visione globale. “Nella mia ultra trentennale esperienza professionale ho più volte constatato come un contesto normativo certo e stabile è fondamentale per incoraggiare gli investitori, specialmente quelli stranieri che hanno la possibilità di scegliere il paese dove investire. Non ci dobbiamo stupire se il tema, forse principale, per l’investitore è la certezza del diritto civile, penale e fiscale: quando si decide di effettuare un investimento è necessario fare affidamento su un sistema di regole chiare, che non cambino in corso d’opera e consentano una programmazione di medio e lungo termine”.

 

Che cosa le suggerisce la sua esperienza sul campo? “Quello che ho appurato assistendo operatori internazionali di tutti i tipi è suffragato da studi e ricerche internazionali. Secondo l’Aibe Index, l’indice sintetico realizzato dall’Associazione delle banche estere (con la collaborazione del Censis), nella classifica delle prime dieci economie mondiali con la maggiore capacità di attrazione di investimenti esteri noi siamo solo ottavi. Tra i fattori che un investitore estero prende in considerazione nella scelta di un paese si collocano ai primi posti la certezza del quadro normativo, e il nostro paese su questi aspetti raggiunge punteggi assolutamente mediocri. Creare un contesto normativo più prevedibile, stabile e chiaro è cruciale”.

 

L’indice sulla competitività, stilato annualmente dalla Banca mondiale, conferma la sua analisi. Il fatto è che la politica non interviene, anzi alimenta l’incertezza. “Alcuni anni fa, sono stato invitato ad una riunione organizzata da Confindustria e dall’allora governo per commentare un’indagine sull’appetibilità del nostro paese agli occhi degli investitori esteri. Alla riunione partecipavano venticinque amministratori delegati di grandi multinazionali, un ministro, alcuni alti funzionari governativi e i rappresentanti confindustriali che avevano redatto il questionario. L’iniziativa, assolutamente lodevole, non aveva purtroppo precedenti. L’esponente del governo, esaminando le risposte contenute nel rapporto, sembrava stupito che il tema avvertito come principale ostacolo a nuovi investimenti non fosse, come si poteva immaginare, il costo del lavoro, la mancanza di moderne infrastrutture, l’eccessivo peso della burocrazia, ma la mancanza di certezza del diritto”.

 

Ieri, sulle colonne di questo giornale, Marcella Panucci, dg di Confindustria, ha ricordato che in Italia occorrono 1.295 giorni per un procedimento civile di primo grado. Siamo al 157esimo posto su 183 paesi secondo la Banca mondiale. “Temi altrettanto sentiti da parte degli imprenditori e strettamente collegati al concetto di certezza e stabilità delle scelte imprenditoriali sono la durata dei processi, sia civili che amministrativi, e l’efficiente funzionamento della burocrazia. Non dobbiamo sorprenderci se dalle ricerche effettuate fattori ‘respingenti’ per un investitore sono i tempi della giustizia civile e amministrativa, così come il carico normativo e burocratico. In Italia il corpo normativo primario e secondario (leggi e regolamenti) è un multiplo di quello vigente in paesi nostri concorrenti appartenenti all’Ue. Troppo spesso le norme approvate dal Parlamento sono costituite da pochi articoli suddivisi in centinaia di commi, che a loro volta richiamano un numero impressionante di altre norme; insomma, anche per professionisti abituati a lavorare con i testi legislativi, spesso la lettura degli stessi è inutilmente complicata e fonte di confusione”.

 

Un guazzabuglio che opprime anche gli animal spirit nazionali. “Certo, queste difficoltà riguardano anche gli imprenditori nazionali. Quante volte mi capita di sentire clienti italiani che lamentano le difficoltà burocratiche e i tempi lunghi richiesti dal nostro ordinamento, rispetto a quanto necessario, non in paesi in via di sviluppo, ma in paesi confinanti con il nostro. Non è quindi sorprendente rilevare, da una parte, che i nuovi investimenti nel paese vanno a rilento e, dall’altra, che si è assistito a una massiccia delocalizzazione della produzione, determinata non solo da fattori di costo, o dal desiderio di sviluppare nuovi mercati geografici (scelta quest’ultima assolutamente positiva), ma molto spesso per poter raggiungere obiettivi industriali in tempi più ragionevoli”. Il diritto è incerto anche perché assistiamo sovente a sentenze imprevedibili e difformi che aumentano il tasso di aleatorietà normativa. “Facciamo i conti con una eccessiva frammentazione decisionale derivante da pronunce giurisprudenziali che sul medesimo argomento procedono in direzioni diverse. Ciò è vero per la giustizia civile, anche se la Cassazione riporta spesso ad unità le pronunce delle corti di merito (purtroppo in tempi spropositatamente lunghi), ma anche per i tribunali amministrativi. Accade infatti che il Tar della regione X assuma una posizione divergente dal Tar della regione Y. Vorrei sottolineare che non si tratta di casi teorici e sporadici; capita, infatti, che un’attività economica riconosciuta legittima in una regione venga ritenuta illegittima in un’altra e comporti la sospensione della stessa, con il conseguente impatto sulla generazione di produzione e di lavoro. E’ vero che il Consiglio di stato riporta ad unicità le pronunce del Tar, ma nel frattempo l’imprenditore che si è localizzato nella prima regione può sviluppare il proprio investimento come programmato, mentre il secondo dovrà attendere qualche anno fino a quando si sia pronunciato il secondo grado. Insomma, anche questi casi contribuiscono a rendere poco prevedibile la decisione di investire nel paese”. Questo sistema sarà mai riformabile? “Deve esserlo, solo così potremo accelerare la ripresa economica. L’augurio è che il legislatore presti maggiore attenzione al tema della certezza del diritto in tutte le sue declinazioni. E insisto nel dire che ciò consentirebbe non solo di attrarre più investimenti esteri ma incoraggerebbe anche gli investimenti da parte dei capitali italiani”.