(foto LaPresse)

È lo spread della produttività il vero problema del nostro paese

Maria C. Cipolla

Un “differenziale” di 139 miliardi di investimenti accumulato dal 2008 a oggi separa l’Italia dalla Germania. L’analisi di Firpo

Roma. La causa maggiore della nostra assenza di crescita, lo spread che ci separa maggiormente dalle altre nazioni europee, è, paradossalmente, anche quello di cui si parla di meno: la produttività, stagnante dalla metà degli anni Novanta. La produttività del capitale, in particolare, è diminuita dello 0,7 per cento con un calo concentrato negli anni precedenti e a cavallo della crisi, stando ai dati elaborati da Intesa San Paolo e presentati da Stefano Firpo, ex direttore per la politica industriale del Mise e oggi responsabile per le soluzioni di impresa di Intesa Sanpaolo, al seminario sulla legge di bilancio organizzato a Milano dall’Ucimu (Unione dei costruttori di macchine utensili e automazione). I numeri messi in fila nella sua relazione raccontano bene questo ventennio senza crescita o di crescita asfittica, evitando la trappola del dibattito sulla produttività che è influenzata da tanti fattori e quindi spesso controversa.

 

L’elaborazione di Intesa parte dalle macchine: fatti 100 gli investimenti fissi materiali delle imprese italiane, francesi e tedesche nel 2008, si registra un crollo generalizzato di quasi il 10 per cento fino al 2009 e poi i destini delle prime tre economie europee si dividono. Il sistema tedesco torna a investire recuperando il livello 2008 già nel 2011, subisce una nuova flessione fino al 2013 e, infine, cresce costantemente dal 2014 fino a oggi. In Francia il recupero è più lento, si torna sui livelli del 2008 solo a dieci anni di distanza, e con un distacco del 10 per cento circa dai cugini tedeschi, ma la progressione è costante. In Italia, invece, la linea degli investimenti cade bruscamente fino al 2009, e continua a scendere. Più lentamente tra 2009 e 2011 e più rapidamente nel triennio 2012 e 2014, quando arriva una timida ripresa. Le stime per il 2018, tuttavia, mostrano che mentre noi siamo ancora a meno 60 miliardi sul 2008, le imprese tedesche investono 79 miliardi in più. Uno spread di 139 miliardi di euro che ha un significato molto concreto: il parco macchine dell’industria tedesca si è rinnovato, quello italiano è sempre più vecchio. L’età media dei macchinari italiani, stando a dati rielaborati a partire dalle indagini della Banca d’Italia e su una ricerca dell’Ucimu sulle aziende metalmeccaniche con più di venti addetti, era di 12 anni e otto mesi nel 2014. Si tratta, secondo i dati di Firpo, del livello più alto degli ultimi 40 anni: dalla metà degli anni Settanta non abbiamo mai avuto macchine così vecchie e quindi arretrate dal punto di vista tecnologico, con l’ultimo picco che si era toccato a metà degli anni Ottanta (a metà dei 2000 invece l’età media era di “appena” dieci anni e cinque mesi).

 

Sul fronte degli investimenti immateriali, lo spread con la Germania era molto ampio già nel 2008 con il sistema Italia che investiva 324 euro per abitante contro gli 810 tedeschi, più del doppio. Ma nel 2017 è cresciuto ancora: 386 euro per ogni italiano, contro 1.200 euro per un tedesco, tre volte tanto, per di più secondo le statistiche Istat della poca spesa italiana in ricerca e sviluppo oltre il 68 per cento è concentrata in appena cinque regioni e cioè Lombardia, Lazio, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto. Questo arrancare nell’aggiornamento tecnologico ha un effetto dirompente. I dati elaborati da Intesa dicono che mentre la produttività del lavoro è aumentata complessivamente dello 0,4 per cento seppure con una regressione tra 2003 e 2009 e un nuovo calo nel 2018, e senza contare le differenze significative d a settore a settore, quella del capitale è scesa dello 0,7. Il vero tracollo si registra tra il 2003 e il 2009 con un calo dell’1,7 per cento, mentre è rimasta piatta tra 2010 e 2014 e ha ricominciato a crescere solo nel 2015. Scorporando i dati anno per anno, si potrebbe capire di più, ma intanto il merito è di aver messo il dito nella piaga, fatta di macchine e strategie industriali.