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Alitalia, salvataggio a rotta di collo

Andrea Giuricin

Per Patuanelli ci sono troppe “rotte in perdita”, le stesse definite “strategiche”

La vendita di Alitalia è sempre più un controsenso. Si cercano compratori disposti a mettere soldi per una compagnia che è ormai in una situazione estremamente critica, viste le perdite di circa 600 milioni di euro del 2019.

La soluzione Lufthansa richiede tempo e soprattutto una ristrutturazione che la politica non vuole fare, mentre le cordate precedenti a trazione pubblica, vedi Ferrovie dello stato più il ministero dell’Economia e delle Finanze, non avevano l’interesse per fare un’integrazione che non stava in piedi da un punto di vista economico.

 

A cercare di rispondere a molti dei dubbi è arrivata proprio ieri un’intervista a La Repubblica del ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli che ha affermato diverse cose interessanti.

In primo luogo ha detto che bisogna trovare una soluzione di mercato, ma al contempo ha detto che per avere una soluzione di mercato ci vogliono 400 milioni di euro di prestito ponte da parte dei contribuenti italiani e che il futuro di Alitalia passerà tramite la creazione di una nuova compagnia (NewCo) controllata dallo stato.

Una soluzione di mercato alquanto bizzarra.

 

Ma c’è un secondo punto che emerge dall’intervista al ministro. La “compagnia di bandiera” ha diverse rotte in perdita. Anche il piano di Ferrovie dello stato le aveva individuate e, alcune di queste, dovevano essere chiuse.

Questa posizione è condivisa anche dal ministro che però al tempo stesso chiede di nazionalizzare la compagnia (anche se temporaneamente). Uno dei motivi per il quale il Movimento Cinque Stelle è intervenuto a favore di una soluzione pubblica di Alitalia è stata proprio quella che il vettore permette di collegare l’Italia al mondo.

La strategicità di Alitalia è stata spesso la scusa per mantenere sotto l’ala pubblica (con i soldi del contribuente) la compagnia aerea.

 

Di questa strategicità abbiamo sentito parlare il ministro Luigi Di Maio, quando era ancora a capo del Mise, ma anche il principale capo dell’opposizione Matteo Salvini e tanti altri politici.

Ora è bene ricordare che la quota di mercato di Alitalia a livello internazionale è ormai inferiore all’8 per cento e che ci sono altre 4 compagnie che, nel segmento da e per l'Italia, trasportano più passeggeri della “compagnia di bandiera”.

La compagnia è fuori mercato, ma politica fa finta di non accorgersene.

 

La classe politica, nonostante tutto questo sia costato ormai molti miliardi di euro negli ultimi decenni, ha invece interesse a mantenere il controllo della compagnia perché evidentemente piace sempre più l’idea di stato imprenditore.

Tutto questo neocomunismo non fa bene alle tasche degli italiani. Con i soldi buttati in Alitalia negli ultimi 10 anni lo stato italiano avrebbe potuto comprare AirFrance - Klm, Turkish Airlines, Norwegian Air, Finnair e Sas tutte insieme.

 

Si potrebbe dire che le soluzioni pubbliche per la compagnia aerea siano delle manovre in contromano. Tutti sanno che sono delle scelte improponibili, ma i politici fanno di tutto per attuarle.

Come è possibile continuare a pensare che un vettore che ha il 2 per cento della quota di mercato europea e che perde quasi due milioni di euro al giorno, possa essere competitivo da solo sul mercato?

Come è possibile che ancora una volta si decida di creare una bad company a carico del contribuente e dei creditori?

Come è possibile che un ulteriore prestito ponte da 400 milioni di euro venga rimborsato dopo che tutti quelli precedenti sono stati bruciati?

 

A queste domande i politici in contromano alla guida di Alitalia hanno poco interesse a rispondere. Come nella famosa barzelletta, è meglio continuare a guidare nella direzione sbagliata e pensare che quelli che ci vengono incontro siano i pazzi che guidano contromano. In realtà siamo tutti un po’ pazzi se ormai sono decenni che permettiamo ai politici di mettere sempre nuovi soldi, dei contribuenti, nell’avventura Alitalia.

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