Luigi Di Maio (Foto LaPresse)

Navigator nel buio

Marianna Rizzini

Reddito di cittadinanza, meno lavoratori. Un caso empirico. Parla Bernabò Bocca (Federalberghi)

Roma. Doveva essere la misura delle meraviglie – così l’avevano presentata l’allora vicepremier del governo gialloverde Luigi Di Maio e il vertice del M5s: il reddito di cittadinanza, sostegno universalistico (“che nessun cittadino abbia un reddito mensile inferiore ai settecentoottanta euro”, era il mantra). E però, a volte, la realtà non è come la si immagina a monte (a partire dai famosi centri per l’impiego con gli altrettanto famosi “navigator”– le due pietre miliari, sempre a monte, che avrebbero dovuto governare il processo di ricerca-lavoro per i futuri beneficiari del reddito). L’Inps, a inizio dicembre, ha intanto comunicato che, fino a quel momento, erano ottocentocinquantasettemila le famiglie che usufruivano del reddito di cittadinanza (con circa duecentomila persone a cui sono stati corrisposti meno di duecento euro al mese; e più di settecentomila persone considerate occupabili su un totale di oltre due milioni di cittadini coinvolti dal provvedimento).

 

Negli stessi giorni, sul Messaggero, è comparsa una stima da fonti sindacali secondo cui, con le settecentomila persone occupabili che usufruiscono del reddito di cittadinanza, circa tre miliardi di euro sono stati spesi per meno di mille posti di lavoro creati. E soltanto cinquantamila persone sono state contattate per firmare il patto del lavoro – passo preliminare, in teoria, per chi usufruisce del reddito, a trovare un impiego. La prova dei fatti sembra dunque particolarmente ardua per la misura delle meraviglie che, dal punto di vista propagandistico, aveva sostenuto i sogni di gloria a Cinque stelle dal 2013 in avanti (per non dire dei mesi di incubazione del primo governo Conte). Poi c’è l’osservazione empirica, che pure non incoraggia. Bernabò Bocca, presidente di Federlaberghi (foto a sinistra), parla infatti per esempio dei numerosi imprenditori alberghieri che, sul territorio, lamentano “la crescente e recente difficoltà, prima non riscontrabile in questa misura, a trovare manodopera non qualificata, diciamo quella che percepirebbe circa mille, mille e cento euro al mese”.

 

Dice Bocca che, a fronte di questa difficoltà sorta all’incirca da quando il reddito è in vigore, sorge il dubbio e il timore, presso il settore alberghiero, che “la misura possa costituire un disincentivo a impegnarsi in un lavoro da otto ore quando, combinando il reddito di cittadinanza e un lavoro anche part-time in nero, altra piaga italiana, si può arrivare grosso modo alla stessa cifra – e non lo dico per demonizzare. Capisco chi, trovandosi in quella situazione, si fa tentare. Il problema è a monte: per questo noi albergatori proponiamo piuttosto, per combattere la disoccupazione, che lo stato, risparmiando i soldi del reddito di cittadinanza, implementi sgravi contributivi alle aziende che assumono. Perché se è giusto, anzi giustissimo, aiutare chi ha bisogno, è anche giusto trovare un modo in cui tutte le parti in causa possano essere incentivate, cosa che non avviene con il reddito di cittadinanza: con una politica di sgravi fiscali lo stato spenderebbe meno, le imprese sarebbero invogliate ad assumere e chi è disoccupato troverebbe più facilmente un impiego dignitoso”. Vista poi “la pressione fiscale e i controlli stringenti” su chi, dice Bocca, “non soltanto fa parte di un settore in crescita, come il settore alberghiero, ma è trasparente nella gestione, sarebbe più utile aiutare gli imprenditori che possono appunto dare lavoro, invece di facilitare paradossalmente soluzioni ibride reddito di cittadinanza-lavoro nero. Noi siamo un buon termometro della situazione. Il nostro settore ha davvero bisogno di manodopera, tanto più che non possiamo automatizzare, non possiamo meccanizzare, non possiamo delocalizzare”.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.