Foto LaPresse

Tra Como e Lione parte una nuova via della seta

Luciana Rota

Il nostro mondo tessile è stato ‘divorato’ dai cinesi senza vie d’uscita? No. È nata un’alleanza qualitativa delle città dove si produce e lavora la seta che punta all’identità e al lusso

Più che una difesa, un attacco. In grande stile. Quello della seta di lusso. Più che un Paese, l’Italia, una sua città: Como, che si allea con Lione (ma non solo) sulla via della seta internazionale. E crea la rete. Economica, culturale, turistica: è una rete che progetta e ha ambizione.

  

Produzione, moda, storia museale e opportunità turistica: valore economico, insomma, dove industria, design e artigianato sono interconnessi, tessuti, fusi per lo stesso obiettivo: un progetto di filiera in cui le città della seta europee e mondiali – sono circa 14 con Italia e Francia in testa – rappresentano una coalizione mondiale che vuole sfondare. A sentire loro, i comandanti di questa “spedizione” non è un problema di resistenza allo strapotere cinese. È piuttosto un vero e proprio “attacco” su più fronti internazionali. Un’alleanza qualitativa delle città della seta che punta all’identità e al lusso.

  

C’è seta e seta, insomma. Quella della rete internazionale, accordata in occasione del Silk in Lion è carica di storia e di fascino. E vale. “La gente pensa che il nostro mondo tessile sia stato ‘divorato’ dai cinesi senza vie d’uscita – ci racconta Stefano Vitali, presidente dell’Ufficio Italiano Seta Italia – la gente non sa che l’80 per cento dei tessuti di seta prodotti in Europa sono prodotti da Como e c’è una storia che continua”.

 

Sono circa 100 le aziende associate all’Ufficio Italiano della Seta, un ufficio che agisce nell’ambito di Sistema Moda Italia e che contribuisce ad un mercato che vale 1 miliardo di euro. “Se alla seta pura e creativa aggiungiamo un ‘ingrediente fashion’ di altre fibre, come viscosa e poliestere (o il lurex tornato tanto di moda), il 40 per cento del tessile lariano raggiunge i 2,4 miliardi di euro di valore. Una tela economica di sostanza”.

 

Gli addetti sono 6.000 e il fatturato aggregato si aggira intorno al miliardo di euro, da Ratti passando per Mantero, Pinto, Clerici Tessuto e Canepa, spiega Vitali: “Siamo il top della moda seta, e lo siamo come punto di riferimento internazionale del settore: la produzione è completamente differente da quella della Cina che diciamo così è indirizzata ad un prodotto di massa. Como punta al lusso, punta ad un prodotto di altissima qualità applicando la sua creatività storica, all’innovazione e alla sostenibilità, altro fattore chiave”.

 

Non che sia sempre stato tutto rosa e… seta: “Nessuno lo nega, il settore ha avuto periodi neri e difficili. Como ha avuto la forza di rinnovare, di cambiare passo in questi ultimi 50 anni di rivoluzione, ha trovato la forza nell’impegno, nel coraggio di investire, nel credere alla sua innata creatività. Quando parliamo di sostenibilità intendiamo anche la certificazione dei numerosi passaggi di lavorazione. Il ciclo produttivo è controllato e certificato in modo tale che si possa risalire sempre al produttore iniziale. Fra le innovazioni ci sono sì i macchinari all’avanguardia, ma anche questa catena certificata eco-sostenibile per le caratteristiche dei luoghi di lavoro, più adatti ai dipendenti, plastic-free e via dicendo. Borracce e non bottigliette di plastica ai nostri dipendenti e poi puntare dritto al massimo della tecnologia”.

  

Dare insomma il buon esempio. A Lione, il 21 novembre scorso, in occasione del Silk in Lyon, Festival de la soie è stata firmata una dichiarazione di intenti della rete internazionale della seta, ma in concreto cosa significa? “Prima di tutto siamo stati invitati dalla città metropolitana di Lione e da Inter Soie – unione internazionale del settore – con importanti gruppi del lusso francese, ad essere fra i capofila della rete della seta – continua Stefano Vitali che è anche vice presidente del Gruppo Filiera Tessile di Confindustria – con l’assessore alla cultura del comune di Como, Carola Gentilini, a Lione abbiamo costituito una rete progettuale e Como è l’unica italiana: ci siamo legati fra le altre a Lione, Valencia, alle giapponesi Kyoto e Yokohama a Tachkent, Samarcanda e Bukhara (Uzbekistan), a Tblisi e Batumi (Georgia), Curitiba e Londrina (Brasile). Prossima tappa un congresso a maggio, a Samarcanda”.

   

Una rete che è prima di tutto scambio culturale: “Noi siamo d’esempio per alcune caratteristiche inimitabili, abbiamo la scuola professionale più vecchia del mondo: un setificio – il Carcano – di 151 anni che forma 1.600 studenti all’anno. Forgia tutte le figure del campo, dal disegnatore all’addetto alle macchine. Ed è garanzia di lavoro. E poi ci vantiamo di avere uno fra i più grandi musei della seta d’Europa, cuore storico culturale di Como con il fiore all’occhiello della Fondazione Ratti. Siamo da sempre coltivatori di una eredità culturale della seta che è un patrimonio economico unico”.

  

Un network della seta per valorizzare l’identità della seta stessa: “Si lavora su temi quali sostenibilità, innovazione, cultura, tradizione e arte. Siamo convinti tutti che questo sia il driver d’innovazione che muove un’ottica di economia circolare, con l’obiettivo di una riduzione degli scarti, e con una visione ancora più aperta che lega l’industria, l’artigianato alla cultura e al turismo. Como sta vivendo un momento storico proprio per la sua vivacità culturale e ricettiva”.

 

Non a caso ha perso per un soffio la candidatura 2019 come città creativa Unesco, ma ci riprova sicura per il 2021 e lo fa Come città della Seta. Sa che può vincere come Biella con la lana. “È un altro passo importante poiché le previsioni ci dicono che sul piatto c’è un valore forbice dal 5 al 7 per cento di indotto come effetto dell’economia del turismo”.

 

Fra moda ed economia ecco un consiglio fashion per fare parte della grande sfida: puntare ad una cravatta made in Como. Di seta. Magari luxury. E con qualche inserto di lurex, per essere più trendy. È la creatività che fa rima con ottimismo. E si traduce in un verbo: lavorare duro. La via della seta non è certo finita. Quella italiana c’è e vuole conquistare il bel mondo.

Di più su questi argomenti: